Da martedì 12 febbraio l’Italia ha un un Piano d’azione per la promozione dei diritti delle persone con disabilità. Il documento è stato approvato dall’Osservatorio sulla condizione delle persone con disabilità, un organismo previsto dalla convenzione Onu (ratificata dall’Italia nel 2009), in carica dal 16 dicembre 2010. «Il programma -si legge sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali-, che ha respiro biennale, individua le aree prioritarie verso cui indirizzare azioni e interventi per la promozione e la tutela dei diritti delle persone con disabilità, in una prospettiva coerente e unitaria». Per capire meglio di che si tratta, pubblichiamo un’intervista realizzata da Vita a Matilde Leonardi, presidente del comitato tecnico scientifico dell’Osservatorio, che in apertura si dichiara «assolutamente orgogliosa».

Perché, in particolare?
Perché l’Osservatorio aveva due compiti: redigere il report per l’Onu e scrivere il Piano d’azione. Abbiamo fatto entrambe le cose e in tempi molto più brevi del previsto: era assolutamente importante per noi consegnare al nuovo governo un lavoro finito. Il governo che verrà non potrà prescindere da questo importante lavoro. Poi si tratta di un piano per il Paese, non per il Ministero della salute o per quello del welfare. Infine, ma importantissimo, è un documento che è stato ampiamente partecipato, condiviso e concordato.

Quali sono le novità?
Nello stendere il Piano ci siamo appoggiati sul monitoraggio effettuato per il report sulla convenzione Onu, quindi la prima novità discende proprio da quest’ultima, che prevede che tutte le politiche e le azioni siano reimpostate sui diritti. Per questo l’elemento che attraversa tutto il piano è la necessità di rivedere i criteri e i processi per l’accertamento e la certificazione della disabilità, cosa che condiziona tutto il resto. Un secondo elemento trasversale è la necessità di raccogliere dati statistici in maniera più completa e organica, perché quelli che abbiamo adesso non consentono di fare una lettura compiuta della situazione. Le faccio un esempio: sappiamo con certezza quanti disabili lavorano, ma non sappiamo che percentuale siano, né quanti potrebbero lavorare ma non lavorano. È evidente che avere un quadro completo influenzerebbe l’approccio politico. Poi ci sono novità che derivano direttamente dalla convenzione Onu, come la creazione di “Pua (punti unici di accesso)».

Piani nazionali in altri settori ce ne sono, ma poi restano quasi sempre dei libri dei sogni. Per esempio, questo piano ha o avrà un finanziamento?
No, le azioni indicate dovranno essere finanziate nel limite degli stanziamenti già previsti, rimodulando i soldi che già ci sono. Però di certo non sarà un libro dei sogni. Un elemento di forza è che diamo proposte e creiamo una cornice di riferimento per tutti i livelli di governance, andando a dettagliare -un po’ come fa il piano infanzia- azioni, obiettivi, interventi e soggetti coinvolti. Quello che abbiamo fatto è “operazionalizzare un diritto”. Mi spiego: alla persona disabile non interessa il diritto al lavoro, ma un lavoro: bene, noi abbiamo indicato i percorsi operativi per rendere questo diritto esigibile. Diciamo che abbiamo lavorato più sulla giustizia che sulla bontà. E comunque il fatto di aver raggiunto un agreement sulla necessità di riforma del sistema dell’invalidità è un grandissimo risultato, non così scontato. Tutti i principi dell’Icf (uno standard internazionale che in italiano sta per “Classificazione dello stato di salute”, ndr) sono stati introdotti.

Quali sono le macro-aree su cui avete lavorato?
Il piano d’azione prevede sei aree di priorità: revisione del sistema di accesso, riconoscimento e certificazione della disabilità; lavoro e occupazione; vita indipendente; accessibilità; inclusione scolastica; salute, diritto alla vita, abilitazione e riabilitazione. In più c’è un settimo punto sulla cooperazione internazionale, in collaborazione con il Ministero degli affari esteri. Vorrei sottolineare ancora una cosa: il primo problema delle persone con disabilità oggi è la solitudine. È ovvio che la coesione sociale non si può imporre in un piano d’azione, però ogni volta che ci è stato possibile abbiamo messo a tema questo tema.