Ikea è un marchio con luci e ombre. Come tutte le grandi multinazionali, la sua storia nasconde angoli bui e il suo attuale successo planetario sconta il ricorso a un sistema produttivo non sempre trasparente. Cose che peraltro l’azienda non ha mai smentito. Con il loro libro “Ikea, un modello smontabile”, i belgi Olivier Baily, Denis Lambert e Jean-Marc Caudron hanno smascherato alcune pratiche che stanno dietro all’azienda di mobili low-cost per eccellenza. E i tre specificano che gli svedesi, «Dopo la pubblicazione di quest’opera in Belgio, hanno solo inviato ai giornalisti un piccolo testo per dire che non intendevano fare commenti». Mentre lasciamo al lettore questo spunto di approfondimento, ci soffermiamo sul premio Sodalitas Social Award, di recente assegnato alla filiale Ikea italiana per il progetto “Cucine ad elevata accessibilità” (http://youtu.be/l0NSpF_c2MI). L’idea si deve a Luisa Bancolini, Social & Environmental Specialist di Ikea Italia, che ha stretto una collaborazione con la fondazione Alessio Tavecchio onlus per sviluppare il progetto, partito nel 2008. Così, dai prototipi si è arrivati alla linea di produzione, grazie ai consigli e alle indicazioni della onlus.
Ciò che si è voluto mantenere fermo è stato il principio che sta alla base della filosofia del gruppo, ossia la proposta di prodotti dai prezzi contenuti, o comunque modulabili secondo necessità e disponibilità. Tanto che lo slogan è diventato “Cucine ad elevata accessibilità, anche nel prezzo”. Purtroppo, infatti, se è vero che le regole del business impongono di perseguire il guadagno sempre e comunque, nel panorama dell’arredamento per disabili i prezzi tendono a essere mediamente piuttosto alti, mentre in questo caso si è tenuta l’attenzione sul fatto che un prezzo alto è un ulteriore handicap che grava su chi già deve affrontare quotidianamente le proprie difficoltà motorie. Sfruttando la “modulabilità” delle soluzioni Ikea, i progettisti hanno potuto evitare di dare la luce a una linea ex novo, adattando semplicemente misure e dimensioni di prodotti già in catalogo alle necessità della persona. Insomma, se le vie del commercio non sempre sono lastricate di buone intenzioni, almeno c’è chi talvolta si preoccupa di rimuoverne le barriere architettoniche.