Il 14 giugno, la Camera ha approvato in via definitiva la cosiddetta legge sul dopo di noi, ossia la norma che si occupa di fare in modo da evitare la “sanitarizzazione” delle persone non indipendenti per disabilità grave dopo la morte dei genitori (o comunque dei parenti che se ne occupano). Concretamente, la legge consiste nella costituzione di fondi (pubblici e privati) e sgravi fiscali per gli enti che si occupano di assistenza ai malati, evitando di metterli in appositi “istituti”. L’idea è che per un malato sia importante continuare a vivere in casa, piuttosto che in strutture sanitarie, per quanto concepite al fine di garantire la massima professionalità nell’assistenza. «Vivere e convivere a casa aiuta ad essere e sentirsi “padroni di casa”, residenti, inquilini – scrive su Vita Marco Bollani, direttore di COME NOI Cooperativa Sociale Anffas –, superando il “confinamento” nel ruolo di ospite ed utente fisiologicamente imposto dall’artificio organizzativo necessario alle strutture di medie e grandi dimensioni».
La legge dispone a questo fine che gli enti interessati dal provvedimento, pubblici o privati, attivino «programmi e interventi innovativi di residenzialità». Per questo tipo di interventi è stato stanziato un fondo di 90 milioni di euro nella scorsa legge di Stabilità. Oltre a questo, la legge prevede un’ulteriore stanziamento di 56,9 milioni di euro nel 2016 e 66,8 milioni di euro dal 2017. La legge sul dopo di noi prevede alcune agevolazioni fiscali per i parenti che investono parte del proprio reddito a favore di questa finalità: «L’articolo 5 e l’articolo 6 – spiega il Post – stabiliscono che nella dichiarazione dei redditi sarà possibile detrarre le spese sostenute per le polizze assicurative stipulate per la tutela dei disabili, con l’incremento da 530 a 750 euro della detraibilità dei premi per assicurazioni versati per rischi di morte. Si prevede inoltre che i trasferimenti di beni e di diritti a causa di morte (per donazione, trust o a titolo gratuito) siano esenti dall’imposta di successione e donazione purché abbiano come finalità esclusiva la cura e l’assistenza della persona disabile». Bisogna dunque spiegare cosa sono i trust: «Sono una forma di protezione legale che prevede la destinazione di alcuni beni da parte di qualcuno (il disponente) a vantaggio di un altro soggetto di sua fiducia, che dovrà amministrare questi beni a vantaggio di un beneficiario attenendosi alle indicazioni e al programma che il disponente stabilisce nell’atto istitutivo».
Una legge del genere era attesa da molto tempo, diversi soggetti del non profit si impegnano da anni al fine di spingere la politica a occuparsene. Alcuni di essi hanno seguito l’iter di stesura e approvazione della norma, proponendo modifiche che in parte sono state accolte. Le reazioni complessive in merito alla norma uscita dai vari passaggi tra Camera e Senato sono molto diverse, ma si potrebbero sintetizzare con una sensazione di parziale soddisfazione, nella consapevolezza che non siamo di fronte alla migliore legge possibile. Come si dice in questi casi, si tratta di un buon punto di partenza, e ora la “fase due” da parte delle associazioni consisterà nel proporre modifiche e integrazioni. Anffas, tra le più attive, ha espresso soddisfazione, soprattutto per «l’individuazione di soluzioni che superino definitivamente l’istituzionalizzazione delle persone con disabilità rimaste prive del sostegno familiare e l’ancoraggio forte alla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità e all’articolo 14 della Legge 328/00, che sancisce il diritto, per ciascuno, a un progetto di vita individualizzato e personalizzato che stabilisca intensità e natura dei sostegni necessari per vivere una vita di qualità per l’intero arco dell’esistenza, anche quando le famiglie vengono a mancare o sono esse stesse necessitanti di supporto». Anffas sottolinea però che ora si deve attendere l’applicazione che le nuove disposizioni troveranno nelle Regioni e negli enti locali.
Fish e CoorDown sono più caute, e sostengono che questa legge sul dopo di noi non sarà efficace nel perseguire la “deistituzionalizzazione” delle persone con disabilità (cioè “portarli fuori dagli istituti”). «Non è sufficiente prevedere in legge che il dopo di noi riguarda anche percorsi di deistituzionalizzazione, ma è necessario impedire che quelle istituzioni continuino ad esistere, siano accreditate, convenzionate e finanziate con soldi pubblici», ha detto Vincenzo Falabella, presidente della Fish. Per Sergio Silvestre, presidente di CoordDown, «c’era bisogno di fare “una legge spartiacque, cosa che non è. Si parla di evitare l’istituzionalizzazione, che però è cosa diversa dal promuovere la deistituzionalizzazione. E ricordo che – dati Istat – in Italia ci sono 257mila persone a rischio di segregazione”». Per poter fare una valutazione seria bisognerà aspettare di analizzare le ricadute concrete che questa legge avrà nei prossimi anni, ma intanto si può considerare l’inizio di un percorso di cui da troppo tempo si attendeva che qualcuno facesse il primo passo.
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