Il titolo recita “Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità”. È stato licenziato il 13 luglio 2016 dall’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, ma da allora di “azione” se n’è vista poca. Molte parole, altrettante promesse, ma poi il programma è rimasto tale: un insieme di principi, di possibili politiche d’intervento, che non hanno ancora trovato applicazione. Il documento è disponibile qui, e prevede otto linee di intervento, che proseguono e integrano quanto previsto dal programma precedente: riconoscimento/certificazione della condizione di disabilità e valutazione multidimensionale finalizzata a sostenere il sistema di accesso e la progettazione personalizzata; politiche, servizi e modelli organizzativi per la vita indipendente e l’inclusione nella società; salute, diritto alla vita, abilitazione e riabilitazione; processi formativi ed inclusione scolastica; lavoro e occupazione; promozione e attuazione dei principi di accessibilità e mobilità; cooperazione internazionale; sviluppo del sistema statistico e di reporting sull’attuazione delle politiche. Non proprio questioni laterali, sulle quali la tempestività dell’intervento non è per nulla secondaria, visto che riguardano direttamente la vita di migliaia di persone.
Carlo Giacobini, direttore editoriale di Superando.it, ha spiegato quale sarebbe dovuto essere il percorso “naturale” del provvedimento: «L’iter è regolato dal Decreto Ministeriale n. 167 del 6 luglio 2010, secondo il quale il Programma di Azione viene adottato con Decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, sentita la Conferenza Unificata (Regioni e Province), che si esprime entro trenta giorni, e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri». La Conferenza unificata si espresse a metà settembre del 2016 sul testo, proponendo alcune modifiche. A quel punto l’Osservatorio mise nuovamente mano al testo, licenziando una nuova stesura che fu pronta il 19 ottobre 2016. È l’ultima “azione” che si registra attorno al programma, che da allora attende che la politica lo recepisca e porti alla sua attuazione.
Nel frattempo, spiega Vita, anche l’Osservatorio stesso attende di essere ricostituito, visto che il suo mandato è scaduto tempo fa e, mentre le associazioni hanno già segnalato al Ministero del lavoro i nomi dei rappresentanti da loro scelti, si è ancora in attesa (ultima comunicazione: gennaio 2017) dei nominativi designati dalla politica. Possibile che si vogliano buttare via due anni di intenso lavoro senza un vero motivo? Di certo il messaggio che arriva al mondo del volontariato e dell’associazionismo (per non parlare delle famiglie) non è per niente positivo. L’impegno verso la disabilità è un elemento imprescindibile per ogni Paese che voglia dirsi civile, e un tale atteggiamento da parte della politica va proprio nella direzione opposta. «Ancora prima di renderlo operativo – scrive Giacobini – quel Programma parte proprio con il piede sbagliato, con un segnale di scarsa cura e attenzione verso le sfide della disabilità. Nasce con una dimenticanza, con una dilazione, come se la variabile tempo non avesse rilevanza».
Concludiamo riportando un estratto dall’intervento di Carlo Francescutti, coordinatore del comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio (quando c’era), in occasione della Conferenza di Firenze in cui il testo fu presentato: «Il Piano non addita la luna: abbiamo proposto al Governo obiettivi realizzabili, spesso senza aggravi ulteriori di spesa e anzi in certi casi, ad esempio per la riforma del sistema di accertamento, riducendo i costi e semplificando. […] Dobbiamo – come comitato tecnico dell’Osservatorio – riuscire a rappresentarci non come interlocutori generici del dibattito ma come interlocutore tecnico e di spessore. I temi di cui ci occupiamo, che ci riguardano, hanno una complessità tecnica che deve essere riconosciuta. Sono stanco di sentire, quando si parla di politiche sulla disabilità, “io penso, io credo, io sono convinto che”, come se dietro non ci fossero evidenze empiriche e scientifiche. Altrimenti tutte le opinioni sembrano uguali. Non è così».