melilloLa campagna di Iacopo Melio per richiamare l’attenzione sulle difficoltà che incontrano le persone con disabilità nell’utilizzare i mezzi pubblici ha fatto molto parlare. Ecco il post pubblicato qualche giorno fa sul suo blog.

Qualche settimana fa su Twitter ho avuto il piacere di scambiare due brevissime battute con [l’ex] Ministro Maria Chiara Carrozza. Ho voluto romperle bonariamente le scatole, ricordandole quanto difficile sia la vita dei comuni cittadini, troppo spesso trattati con pesi e misure diverse rispetto alla classe politica. A maggior ragione se il cittadino in questione è disabile, dovendo affrontare oltre ai classici prolemi quotidiani ogni genere possibile di barriera: da quella architettonica a quella culturale e sociale.

Così, anche la normale abitudine di prendere un mezzo di trasporto pubblico, diventa una vera impresa se non addirittura un’utopia!

Sarebbe stato bello approfondire ulteriormente l’argomento ma ho preferito chiudere lì il discorso, vista oltretutto la condivisione del mio tweet da parte del Ministro sulla sua bacheca personale (sincera o meno che fosse non ha importanza, basta che se ne parli).

Occorrerebbe però un piccolo esame “di cuore”, più che di coscienza. Sì perché, cari politici, se non volete sforzarvi di immaginare cosa significhi dover chiamare ogni santa volta una stazione ferroviaria per sapere se, a una cert’ora, il treno sarà attrezzato con una pedana; se non riuscite a comprendere il disagio di aspettare una, due, tre fermate in più sperando che il bus successivo sia finalmente quello agibile; se la vostra vescica non è abbastanza “elastica” da immedesimarsi in una che, per un bagno non a norma in un vagone, è allenata per trattenere la pipì per intere tratte… Cercate almeno di capire quanto, a lungo andare, sia triste essere single.

Sì, avete capito bene. Se io sono single è solo colpa degli autobus!

Come non è possibile? Ma è scontato, no? Pensateci bene. Intendiamoci, non che lo sia sempre stato, e in fondo mi auguro che non lo rimarrò a vita. Ma io la ragazza dei miei sogni, se non monto su un mezzo pubblico, proprio non la potrò mai trovare.

Avete presente la classica scena da film dove lui con uno zainetto sale sull’autobus, fuori piove, si infila le cuffie e appoggia il capo al finestrino. Le gocce d’acqua giocano a fare le corse sul vetro freddo, mentre nel frattempo sale Lei, bella come il sole che non c’è, e gli si siede accanto sorridendo. Quel sorriso che ti illumina la giornata; che ti regala il senso di ogni canzone; che ti costringe a salire su quel bus ogni altra mattina successiva sperando di rincontrarla? […]

Ecco, insomma, quelle lì. Quelle sono le occasioni che mi son sempre mancate: possibile che nessuno ci abbia mai pensato? D’altra parte anche De André cantava «grazie a te ho una barca da scrivere, ho un treno da perdere». Non diceva “libro” o “mazzo di fiori”: diceva barca e treno!

Le stazioni… Ma quanto saranno belle le stazioni? Soprattutto all’alba e di notte, quando non c’e nessuno. Veder arrivare treni semideserti, soffermare gli occhi su chi scende o chi sale. Immaginare dove sono stati, dove andranno, da cosa scappano o cosa cercano, chi stanno aspettando nella loro vita. E proprio in quel momento arriva Lei, a chiederti un accendino, un’indicazione, un qualsiasi cosa che c’entri niente o tutto. Le stazioni sono posti meravigliosi, carichi di amore: abbandonato, conteso, regalato, straziato, ritrovato.

Non vi chiedo di cambiare le cose perché un cittadino deve poter andare dove vanno tutti gli altri. Non ve lo chiedo perché siamo tutti uguali; perché la libertà dovrebbe essere un diritto sacrosanto. Non vi chiedo di rendere treni, pullman, taxi, aerei, traghetti e dischi volanti agibili perché è la cosa più civile e naturale che si possa pensare in un Paese Democratico. Né tantomeno perché sarebbe il caso, d’ora in avanti, di spendere quei pochi soldi rimasti in maniera intelligente.

Ve lo chiedo perché sono stanco di essere single “per scelta”. Vostra, ovviamente. Già, ve lo chiedo solo per quello: fatemi prendere ‘sto benedetto autobus! Perché alla fin fine, come si dice, quando c’è l’amore c’è tutto, no? (O forse era la salute? Boh.)