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Dopo il “Libro nero sul welfare” e il dossier sulle condizioni di detenzione, oggi partiamo dal rapporto di Legambiente su frane, alluvioni e disastri naturali. Il dato impressionante è quello economico: 640 milioni di euro negli ultimi due anni spesi per far fronte a emergenze scatenate dal cattivo tempo. 875mila euro al giorno. Questo il bilancio a partire dalla colata che ha travolto nell’ottobre 2009 Giampilieri e Scaletta Zanclea (Messina), per arrivare agli ultimi eventi in Lunigiana e nella provincia di La Spezia.

In contrasto con questo continuo stanziamento di fondi, scrive Legambiente, la totale assenza di risorse per mettere in pratica il piano di prevenzione da due miliardi e mezzo programmato dal Ministero dell’ambiente. Cause di questa immobilità «i tagli delle recenti manovre finanziarie, che hanno azzerato anche il miliardo di euro messo a disposizione a fine 2009 per la difesa del suolo e la mitigazione del rischio idrogeologico».

L’invito è a ricordarci di questi dati quando, tra qualche mese, saremo di nuovo spettatori (vittime?) dell’ennesima campagna elettorale a colpi di annunci. Ci hanno parlato, e continueranno a farlo, di sicurezza nelle strade. Ecco, se ne occupi davvero, la prossima maggioranza, ma nel senso letterale la preposizione “nelle”. Si pensa sempre di aumentare la sicurezza impiegando nuove forze dell’ordine: mostrare i muscoli per tranquillizzare l’opinione pubblica. Ma quello di sicurezza è un concetto più profondo, che parte dal sottosuolo. Quando cammino per strada, voglio essere sicuro che se anche dovesse piovere a dirotto, la mia casa non sia allagata, la mia via non diventi un fiume, le automobili della mia città non giochino a shangai.

Si facciano gli interventi necessari, quelli straordinari e di normale manutenzione. Se in certe zone non si può costruire, non lo si faccia. E se ormai è tardi, perché prima della pioggia è colato il cemento, lo si butti giù. Dimostriamo di non essere la solita italietta in cui ci indigniamo per i disastri e piangiamo le vittime, ma se poi vengono a dirci che la nostra casa sul letto del fiume non è sicura, e sarebbe meglio che ci spostassimo, facciamo le barricate. Diamo retta per una volta a geologi, meteorologi, geografi, prima che alla pancia o al portafoglio (parole, queste ultime, che come si può notare con contengono la particella -geo, qualcosa vorrà dire).

I dati dicono che non stiamo andando nella direzione giusta: «Un paese dove ogni anno si perdono 500 chilometri quadrati di superficie naturale, rurale o agricola trasformati in cemento, edifici e nuove infrastrutture, dove in dieci anni c’è stata una perdita della superficie agricola utilizzata pari a 300mila ettari (censimento Istat)». Non sono casuali gli eventi luttuosi degli ultimi giorni. Il quartiere di Genova in cui è esondato il rio Ferreggiano, nel punto in cui si immette nel Bisagno, si era già allagata nel 1970, causando la morte di 25 persone. Dopo 41 anni la zona si è fatta trovare ancora una volta impreparata.

Fiumi che andrebbero scoperti, acque ai cui argini andrebbe dato il necessario sfogo. Lo ribadiamo, pensate ai danni e ai lutti provocati da questa malagestione del territorio quando verranno di nuovo a dirci, da destra a sinistra, che amano l’Italia, e che per il bene dei cittadini tutti si impegneranno in gesti eroici. Non vogliamo gesti eroici: sarà vero che l’Italia è un Paese per tanti aspetti straordinario, ma da qui in poi ci basterebbe vivere in un Paese normale.