Normalmente siamo abituati a dare un’accezione positiva all’espressione “divorare i libri”. Chi lo fa è una persona che legge molto, velocemente e senza pause tra una lettura e l’altra. In un mondo in cui siamo spesso preoccupati del fatto che si legge sempre meno, e dove varie altre attività si fanno concorrenza per avere la nostra attenzione, i divoratori di libri sono considerati una rarità, un patrimonio da preservare e da cui prendere esempio. Ma non è sempre stato così. Solo qualche secolo fa, infatti, divorare libri era visto come qualcosa di volgare, compulsivo e superficiale.

Appetito e gusto

Nel XVIII secolo, si legge in un articolo su Aeon, gli scrittori hanno cominciato a dividere tra appetito e gusto nella lettura. Entrambi concetti legati all’alimentazione, ma con accezioni decisamente diversa. Se l’appetito rimanda all’esigenza di riempirsi la pancia, gustare un piatto implica un’esperienza più lenta e profonda, che si concentra sulla qualità più che sulla quantità di ciò che si ingerisce. I romanzi in particolare erano associati a queste abitudini di consumo, e divennero un simbolo della facilità di accesso al mercato letterario da poco raggiunta, descritti come opere che nutrivano appetiti malsani. La cosa aveva implicazioni sessiste, visto che questa deprecabile attitudine veniva associata principalmente alle donne, ritenute vulnerabili, ignoranti e moralmente contagiose. Al di là di questo, usare le parole dell’alimentazione per rappresentare il fenomeno aveva aspetti positivi.

Non divorare ma digerire

Molti saggi ponevano l’accento sulla digestione, con l’idea di rallentare il ritmo crescente del mondo moderno. Digerire ciò che si leggeva era così un ideale etico, mentre il divorare era un atto irragionevole ed edonistico. Questo modo di pensare ha prevalso per secoli, e solo negli ultimi decenni il concetto è stato ribaltato. Le cose hanno cominciato a cambiare quando nel XX secolo alcuni intellettuali hanno attaccato la discriminazione verso il linguaggio “del consumo”. A questo si è aggiunto più di recente il problema di cui parlavamo in apertura, ossia il timore che la lettura possa perdere completamente la propria forza culturale, minacciata da innumerevoli altri servizi, da Facebook a WhatsApp a Netflix. In un quadro del genere, “divorare” denota un grande interesse, ed è già qualcosa.

Libri per divoratori di libri

Avere un lettore che divora libri implica che questi siano scritti per essere divorati. Se un libro è costruito (come struttura, stile, ritmo, ecc.) in modo da tenere inchiodato il lettore dalla prima all’ultima pagina, allora avrà vinto la sfida. Lavori che invece richiedono una lettura più lenta e riflessiva rischiano di essere visti come meno riusciti e quindi scartati. In conclusione, si può dire che non è possibile ridurre il discorso genericamente alla lettura come esperienza indistinta e omogenea (come molte campagne per l’invito alla lettura tendono a fare). Il concetto di “digestione” incoraggia abitudini di lettura più lente, che facciano più attenzione al sottile lavoro di composizione realizzato dall’autore, piuttosto che concentrarsi sul voltare pagina il più rapidamente possibile.

(Foto di Ed Robertson su Unsplash)