Molte donne scelgono di studiare scienze, tecnologia, ingegneria o matematica. Troppe sono però poi costrette a interrompere quel percorso di studi e quella carriera, per dedicarsi ad altro. Ne scrive la matematica Silvia Benvenuti sulla Domenica del Sole 24 Ore, in un articolo che riportiamo di seguito.
Un dato di fatto è che mentre le iscrizioni al corso di laurea in matematica, e in generale a quelli delle discipline STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) registrano una sostanziale parità, molte donne tendono poi ad abbandonare studi e carriera accademica. Come evidenziato nel rapporto Unesco Science Report- Towards 2030, sarebbe necessario intervenire in ogni fase della vita delle donne che operano nel settore scientifico: la precarietà e la difficoltà di conciliare la vita accademica con scelte di tipo familiare le pone spesso davanti a un bivio, e il «rubinetto virtuale» che ne consegue finisce per perdere, poco a poco, ricercatrici e studiose.
Un fatto sociale e politico, dunque, non certo genetico. Purtroppo, anche la sola esistenza di associazioni quali European Womens in Maths, o comitati come il Women in Mathematics Committee della European Mathematical Society, o le EGMO, Olimpiadi femminili della Matematica, segnala che un problema di genere, di fatto, esiste. Se così non fosse, non ci sarebbe necessità di difendere la quota rosa matematica.
In passato la situazione era ancora più critica: alle donne era negato l’accesso anche agli studi, figuriamoci quello alle posizioni accademiche. Sophie Germain, teorica dei numeri e delle superfici elastiche, si firmò sempre, nella corrispondenza con Legendre e Gauss, come Antoine Le Blanc, per paura di non essere presa in considerazione in quanto donna. Emmy Noether, invitata da Hilbert e Klein a Gottinga, dato che il titolo di Privatdozent non poteva essere attribuito a donne, trascorse quattro anni tenendo lezione a nome di Hilbert. Sonja Kovalevskaja si sposò perché questo era l’unico modo, per lei, di uscire dalla Russia e frequentare, grazie al permesso del marito, l’Università di Heidelberg. Le sue capacità furono infine riconosciute, visto che fu il primo PhD in matematica di sesso femminile, nonché la prima donna a ottenere una cattedra universitaria. Nonostante questo il suo teorema sulle equazioni alle derivate parziali, da lei ottenuto in collaborazione con Augustin L. Cauchy, rimase noto per molti anni come teorema «di Cauchy».
Insomma matematica è (anche) donna, nonostante il pregiudizio. Al giorno d’oggi la matematica deve necessariamente “fare per tutti”: in un’epoca in cui l’innovazione, il progresso tecnologico e in definitiva il benessere di una società dipendono in modo decisivo dalla cultura matematica che tale società sa esprimere, l’ignoranza diffusa delle basi della matematica è politicamente, socialmente e culturalmente pericolosa. Per dirla con Cathy O’Neil, autrice di Weapons of Math Destruction, «la terribile verità [è che qualcuno] usa deliberatamente formule per impressionare piuttosto che chiarire». Capire la matematica significa quindi, oggi più che mai, essere cittadini consapevoli. E questo, democraticamente, vale per gli uomini come per le donne.