romsintiLo sapete quanti rom e sinti vivono sul territorio italiano? Vi siete mai chiesti quanti di loro non hanno la cittadinanza italiana? Sono di più quelli che vivono in case o nei campi? Domande legittime, visto che la presenza di rom in Italia viene posta da alcuni come una delle emergenze nazionali. Si può, come fa Matteo Salvini, basare buona parte della propria politica sulla “guerra ai rom”, quando questi sono solo 180mila, cioè lo 0,25 per cento della popolazione italiana? E come si potrebbe «mandarli tutti a casa loro», se il 50 per cento di essi è cittadino italiano? Spianare i campi rom, poi, sembra la soluzione definitiva. Ma circa l’80 per cento di rom e sinti vivono in regolari abitazioni, mentre solo 40mila vivono nei campi. La verità, quindi, è che ci accorgiamo principalmente dei rom e sinti che abbiamo deliberatamente segregato e ghettizzato in aree che sono nella maggior parte dei casi baraccopoli. Li notiamo perché qualcuno ci punta sopra i riflettori, per portare alla luce le situazioni di disagio e di illegalità che danno più fastidio. Quelle delle piccole rapine, della criminalità che svaligia case. Mentre nella maggior parte dei casi non ci accorgiamo nemmeno della loro presenza, perché, appunto, sono cittadini come noi, che hanno una casa e un lavoro, e non hanno un cartello in fronte con scritto “rom” o “sinti”. I dati riportati provengono dal rapporto annuale redatto dall’Associazione 21 luglio sulla condizione di rom e sinti in Italia.

Sul fatto che la soluzione dei campi vada superata siamo tutti d’accordo. Non sulle modalità proposte da Salvini (avviso di sei mesi e poi via con le ruspe, chi c’è c’è), che non rappresentano una soluzione al problema degna di uno che si candida a decidere le politiche di un Paese. Peraltro, sempre in un’ottica di terrore in cui sembra che i nuovi campi spuntino come funghi sul territorio, va detto che di sgomberi se ne fanno già e con una certa frequenza. «Nel corso del 2014 a Roma sono stati documentati 34 sgomberi forzati, che hanno coinvolto circa 1.135 persone per una spesa stima di 1.315.000 euro», si legge nel rapporto. «Nel periodo gennaio – settembre 2014 a Milano sono stati eseguiti 191 sgomberi che hanno coinvolto 2.276 persone». Un bel po’ di ruspe (e di soldi) insomma, che hanno sicuramente il merito di radere al suolo aree che non sono degne di ospitare nessun essere umano, viste le condizioni in cui normalmente esse versano. Dall’altro però hanno la grave colpa di gettare queste persone su una strada, se non si offrono loro soluzioni abitative alternative. Spesso poi, con questo tipo di provvedimenti, famiglie e comunità vengono divise e collocate in centri di accoglienza per soli rom, il che ripropone il problema della discriminazione su base etnica, oltre a creare disagi dovuti alla separazione.

A pagare il prezzo più alto per la vita nei campi sono i più piccoli: «La condizione di vita di un minore rom che nel nostro Paese vive in un insediamento formale o informale è fortemente condizionata dal contesto abitativo che segna profondamente il suo presente e che orienta il corso del suo futuro. […] Avrà possibilità prossime allo zero di accedere ad un percorso universitario mentre le possibilità di poter frequentare le scuole superiori non supereranno l’1 per cento. In un caso su cinque non inizierà mai il percorso scolastico. Soprattutto in tenera età avrà fino a 60 volte la probabilità – rispetto ad un suo coetaneo non rom – di essere segnalato dal Servizio Sociale e di entrare a contatto con il sistema italiano di protezione dei minori. La sua aspettativa di vita risulterà mediamente più bassa di circa 10 anni rispetto al resto della popolazione, mentre da maggiorenne avrà 7 possibilità su 10 di sentirsi discriminato a causa della propria etnia».

Purtroppo, in una situazione di disagio che dovrebbe trovare nella politica un osservatore e interlocutore attento, è proprio quest’ultima ad alimentare campagne d’odio contro rom e sinti: «Nel 2014, secondo i dati raccolti dall’Osservatorio 21 luglio, dei 443 episodi di discorsi d’odio contro i rom registrati in totale l’87 per cento è riconducibile a esponenti politici». Questo dato è particolarmente grave perché può creare un senso di impunità nei cittadini il cui animo covi un sentimento più o meno latente di odio e repulsione verso queste persone. Ne possono nascere attacchi violenti ed episodi di “giustizia privata”. Giusto quindi andare oltre i campi rom, ma questa non è una guerra da combattere con i cingolati, bensì con le armi della solidarietà e della giustizia.