In Italia le persone si fidano poco dei giornali. Le principali fonti di notizie non sono più, quotidiani, settimanali e siti web d’informazione. All’informazione si arriva sempre più spesso da altre fonti, come motori di ricerca, social network, e anche Youtube (i telegiornali ancora resistono, soprattutto per la popolazione più anziana). I dati sono stati raccolti dal Censis e si trovano in una presentazione realizzata da Dino Amenduini dal titolo “Cinque riflessioni sul giornalismo politico in Italia”. Il cambiamento di abitudini è da imputare in parte, secondo noi, alla maggiore dimestichezza e abitudine dei più giovani all’uso di internet (dal computer, ma soprattutto da smartphone e tablet) e dei social network, di cui gli italiani sono grandi frequentatori.
L’informazione su internet è gratuita (e le ricerche dicono che la maggior parte degli utenti non sarebbe disposta a pagare per averla) e l’agenda non è più stabilita dai media tradizionali, com’era nel caso del quotidiano, bensì dai contatti che si hanno su Facebook e Twitter, ma anche dalle reti sociali tradizionali, come la famiglia e gli amici. Secondo una ricerca Edelman, è infatti la rete di contatti a raccogliere il più alto grado di fiducia da parte degli utenti: «In Italia c’è più scetticismo sui creatori di contenuti sui social network, tutte le categorie hanno un livello di fiducia più basso rispetto alla media mondiale. Solo gli amici e la famiglia in Italia rimangono nella categoria “fidati” con il 63 per cento, tutti gli altri scivolano nella categoria “incerti o neutri”, inclusi gli esperti accademici. Le aziende e i loro lavoratori sono percepiti anche loro “incerti o neutri”, mentre la maggior parte dei creatori di contenuti tra cui giornalisti, dirigenti, vip e celebrità, ricevono percentuali basse che li collocano nella categoria “sfiduciati”. Un’indicazione rilevante per la comunicazione soprattutto delle aziende».
Uno dei problemi, come cerca di ricostruire anche Arduini, è che l’Italia non è mai riuscita a creare un sistema mediatico che sappia rivolgersi a un pubblico ampio, raccontando i fatti in maniera comprensibile e con un buon livello di approfondimento e di spirito critico, soprattutto nei confronti di politici, aziende e personaggi pubblici di spicco. La modalità tipica del giornalista politico in Italia è infatti la chiacchierata a cena. Com’è possibile criticare con oggettività una persona con cui si condivide un piacevole pasto (per lo più offerto) e con cui si ha un rapporto continuativo e magari, a un certo punto, di collaborazione reciproca? Il rischio è che il giornalista diventi il portavoce di questo o quel politico, in grado di riportarne perfettamente il pensiero, ma senza che da lui si levi alcuna vera critica.
In questo senso, è interessante guardare a un fenomeno osservabile in Italia negli ultimi anni. Tra le tante novità (o anomalie, giudicate voi) portate dall’ingresso sulla scena del Movimento 5 Stelle, c’è il fatto che gli eletti del partito fossero per la stragrande maggioranza degli illustri sconosciuti prima delle elezioni. Questo ha fatto sì che il giornalismo, che fino a pochi anni fa tendeva a ignorare i messaggi provenienti da quel soggetto politico nascente, abbia cominciato a occuparsene, ma senza la patetica reverenza che normalmente dimostra verso i personaggi politici più navigati. Se da un Bersani, Berlusconi, Renzi, ecc., ci si accontenta di una dichiarazione rubata (per strada o su Twitter), oppure si torna alla “modalità cena” di cui sopra, con toni compiacenti e accomodanti, verso i rappresentanti dei 5 Stelle l’atteggiamento è completamente diverso.
Il tono è sprezzante, le domande incalzanti (anche quando si tratta dello stesso Beppe Grillo, che non è mai stato preso sul serio dall’establishment mediatico), la vena critica al massimo della pressione. Perché questo? A nostro avviso, come dicevamo prima, perché manca nei componenti del M5S quell’aura del politico intoccabile che tutti gli altri hanno, chi più chi meno. Alle loro spalle non ci sono (o se ci sono non si conoscono) interessi e coinvolgimenti estranei alla politica. Si sono candidati per applicare un programma e di quello si occupano. Nella loro mancanza di esperienza, nel loro essere giunti alla ribalta senza un percorso politico tradizionale, sta anche il loro essere liberi da “lacci e lacciuoli” che li leghino ad altri politici o imprenditori di spicco. Lungi da noi, sia chiaro, voler dare un giudizio positivo o negativo sul Movimento di per sé. Ci premeva però far notare come i suoi esponenti abbiano fatto riemergere nei giornalisti italiani uno spirito critico che giaceva sepolto dalle “veline”, dalle cene, dai “retroscena” di “fonti autorevoli”, quasi mai verificate. Questo il nostro piccolo contributo alla riflessione, per il resto potete andare avanti leggendo qui.