Il traffico aereo, dopo il drastico calo della pandemia, è ripreso a pieni ritmi. Giusto ieri l’ACI Europe, che rappresenta gli interessi di categoria degli aeroporti europei, comunicava che il traffico nel continente in agosto si è fermato a –3,4 per cento rispetto ai livelli pre-pandemici. Ancora in leggero calo dunque, ma pur sempre in aumento dell’11,6 per cento rispetto ad agosto 2022. La tendenza è quindi all’aumento del numero di voli, nonostante sia ormai noto il forte impatto ambientale dell’industria aeronautica sull’ambiente.
Dal punto di vista dei cittadini, la confusione è grande. Da un lato, faceva notare qualche mese fa il ricercatore Andrew Simms sul Guardian, la scienza ci dice (almeno a chi vuole ascoltare) di cambiare abitudini, e in fretta. Ma dall’altro la pubblicità ripete, senza sosta e con entusiasmo, di continuare a vivere come stiamo facendo, conducendo stili di vita fortemente inquinanti e acquistando prodotti ad alto contenuto di anidride carbonica.
Secondo Simms, che è coordinatore della campagna Badvertising, come prima misura per invertire questa tendenza «potremmo smettere di promuovere la nostra autodistruzione mettendo fine alla pubblicità dei voli, così come è stata vietata la pubblicità delle sigarette che danneggiano la salute». Ovviamente non si vuole impedire in alcun modo alle persone di volare, ma interrompere le pubblicità che con insistenza promuovono i voli come mezzo per i propri spostamenti potrebbe fermare il numero aggiuntivo di voli dovuto all’eccessiva autopromozione dell’industria. Uno studio commissionato da Greenpeace indica che l’aumento dei voli dovuto alla pubblicità potrebbe comportare fino a 34 milioni di tonnellate di anidride carbonica in un anno. Eliminare le pressioni e gli inviti a volare sarebbe in linea con i consigli scientifici e un modo semplice per facilitare il cambiamento dei comportamenti.
Del resto, fa notare Simms, il lockdown ci ha insegnato che è possibile vivere senza volare. È un passaggio culturale che sembra essersi radicato nel mondo imprenditoriale, dove la consapevolezza dei possibili risparmi di tempo, denaro ed emissioni di anidride carbonica fa sì che gli spostamenti in aereo per motivi di lavoro rimangano per ora al di sotto dei livelli pre-pandemici, con una tendenza che sembra stabile nel tempo.
Naturalmente, un eventuale bando delle pubblicità da solo non basterebbe a cambiare le cose. È necessario che il comparto aeronautico si prepari a un mondo con meno voli. Le compagnie aeree e ferroviarie svizzere, per esempio, hanno studiato la possibilità di riqualificare i propri piloti come macchinisti. È anche necessario che finiscano i sussidi pubblici che rendono il volo artificialmente economico. Dall’altro lato, c’è bisogno di investimenti nelle ferrovie, di un’adeguata integrazione tra i sistemi dei diversi paesi europei e di biglietti più economici per riconoscerne il valore ambientale e i benefici economici locali.
Il Comitato per il cambiamento climatico (CCC) rileva che i consumatori affermano di “valutare sempre più spesso l’impatto del volo sull’ambiente quando prendono in considerazione l’idea di viaggiare in aereo”, e che “sono possibili cambiamenti sostanziali nei comportamenti”.
(Foto di Mark Olsen su Unsplash)
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