A proposito di droghe leggere, il prossimo presidente del Consiglio (designato per ora solo dalla stampa), Matteo Renzi, si è espresso così in un’intervista a La7: «[trovo] schizofrenico un Paese in cui si passa dal proibizionismo più totale alla liberalizzazione delle droghe leggere. Iniziamo a cambiare la Fini-Giovanardi, che è una leggiaccia, per rimettere la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti e mettiamo in prova chi è stato arrestato per detenzione di droghe leggere». Una dichiarazione piuttosto timida, che non lascia molto spazio alla speranza di un avanzamento della normativa in materia di sostanze stupefacenti. Abbiamo detto più volte come la pensiamo su ZeroNegativo, indicando la depenalizzazione della detenzione di droghe quale possibile elemento utile nella lotta al sovraffollamento delle carceri. Ora che la Fini-Giovanardi è stata dichiarata incostituzionale, si torna alla legge precedente, la Iervolino-Vassalli. Va precisato per chiarezza che l’incostituzionalità dichiarata dalla Corte costituzionale è relativa alle modalità di conversione in legge del decreto che porta la firma di Fini e Giovanardi, e non alla sostanza. Il decreto fu infatti inserito in un provvedimento che si occupava di moltissime cose, tra cui il finanziamento alle Olimpiadi invernali di Torino.
Si torna alla norma del 1993, che non è più flessibile nell’individuazione della distinzione tra droghe leggere e pesanti, e comunque non elimina il reato di possesso e spaccio (pur avendo delle soglie leggermente più alte nell’individuare la differenza tra le due cose). Essa prevede però soprattutto provvedimenti amministrativi, nei casi di “uso personale”: «per la prima volta era previsto un avvertimento del prefetto, a cui seguivano dalla volta successiva provvedimenti (sempre del prefetto) come la sospensione della patente o del passaporto, per un massimo di tre mesi. Dopo le due volte entrava in gioco l’autorità giudiziaria, con una serie di sanzioni che arrivavano al massimo a tre mesi di carcere (fu la parte di norma abolita con il referendum del 1993)». Molto lungo quindi il procedimento per arrivare al carcere, al contrario della legge del 2006, che ha reso molto più diretto il collegamento tra possesso e carcere.
Torniamo a ricordare che nel 1993 la maggioranza dei votanti a un referendum promosso dai Radicali si espresse a favore della depenalizzazione del reato di detenzione di sostanze stupefacenti, e tale preferenza non è mai stata presa in considerazione dal legislatore. In questi giorni su alcune testate si è poi parlato di un report commissionato dal governo presieduto da Mario Monti, nel quale si individuerebbero alcuni notevoli vantaggi fiscali dati dalla regolamentazione del mercato. In tali articoli si citano dei virgolettati con dati del genere: «La proibizione della cannabis implica un costo fiscale di circa 38 miliardi di euro, a fronte di 15 miliardi per la cocaina e di 6 per l’eroina»; e anche: la «tassazione della vendita di eroina, cocaina e cannabis, sulla base dei livelli di consumo di queste sostanze nel nostro Paese, porterebbe nelle casse dello Stato 30 miliardi di euro l’anno». Va detto che si tratta di testate apertamente schierate a favore della liberalizzazione e inoltre negli articoli si parla di questo report senza mai citarne il titolo, la fonte o inserire un link. Tutti da verificare i numeri, ma crediamo che i conti reali non siano molto lontani dalle cifre riportate.
In ogni caso, suggeriamo al prossimo governo di ascoltare quanto scrivevamo nell’ultimo post sull’argomento, ossia che «Dovremmo guardare, con serenità e senza pregiudizi, al Portogallo, dove dal 2001 è in vigore una legge che […] rende il possesso di stupefacenti una questione di cui lo Stato si fa carico a livello medico, proponendo (e finanziando) un percorso (non obbligatorio) di recupero del paziente. Dopo 12 anni di applicazione di quella legge, il consumo di droga è diminuito, l’epidemia di Aids si è fermata e i reati sono diminuiti».