I calcolatori dell’impronta ecologica sono quelle applicazioni che permettono di calcolare l’impatto ambientale del proprio stile di vita. In base a una serie di domande, in genere relative all’alimentazione, al trasporto, al consumo di energia, si riceve un indice, spesso espresso come quanti “pianeti Terra” sarebbero necessari per sostenere le proprie abitudini.
Applicazioni di questo tipo circolano da molti anni, e oggi si va da sondaggi che chiedono di indicare i propri consumi medi (come questo dell’Ecological Footprint Network, disponibile in italiano) a vere e proprie app che consentono di tracciare i propri consumi giorno per giorno (come Commons). Ma serve davvero calcolare la propria impronta ecologica? La risposta breve è sì, ma come al solito le cose sono troppo complesse per rispondere in una parola.
Un dato da tenere presente, come spiega tra gli altri Tim McDonnell su Semafor, è che il livello di emissioni nell’atmosfera è per la maggior parte il risultato di decisioni prese da un piccolo numero di aziende e di governi, e non dai singoli consumatori.
Secondo il rapporto Carbon Majors del Climate Accountability Institute, citato in un articolo di OpenMind, 108 aziende produttrici di combustibili fossili e cemento rilasciano quasi il 70 per cento di tutte le emissioni globali di anidride carbonica. La realtà è che l’industria dei combustibili fossili deve cambiare drasticamente se il mondo vuole fare i conti con la crisi climatica.
Un altro dato interessante da tenere presente è che il primo calcolatore dell’impronta ecologica a livello individuale è stato creato nel 2004 nell’ambito di una campagna di marketing della società petrolifera BP, un tempo nota come British Petroleum Company. Non esattamente un gruppo di attivisti per l’ambiente dunque. Come si giustifica questa contraddizione?
Come spiega OpenMind, la campagna di BP diceva ai consumatori che era giunto il momento di seguire una dieta a basse emissioni: un messaggio carico di sensi di colpa, che suggeriva che gli individui avrebbero potuto fermare il cambiamento climatico se solo l’avessero voluto. In un certo senso BP aveva ragione: i calcolatori dell’impronta ecologica possono essere utili, e la responsabilità individuale ha un suo posto. Ma un messaggio del genere fa passare in secondo piano le responsabilità delle aziende più inquinanti, spostando l’attenzione (e le responsabilità) sui singoli.
Detto questo, strumenti come i calcolatori dell’impronta ecologica, se usati consapevolmente, possono guidarci verso l’azione collettiva necessaria per affrontare il cambiamento climatico. Esistono infatti calcolatori che non solo stimano la vostra impronta individuale, ma sono anche strumenti di apprendimento coinvolgenti che incoraggiano un cambiamento. Il punto ancora più importante è che tali strumenti possono motivarci a intraprendere azioni che facciano pressione sulle grandi aziende inquinanti. L’idea quindi è che usare un calcolatore sia comunque utile a migliorare le proprie abitudini e i propri comportamenti, ma che questo esercizio sia solo l’inizio di un cambiamento più grande, che ci porti a chiedere politiche migliori e più decise ai nostri governi e alle aziende.
Del resto le emissioni individuali sono davvero importanti su scala globale. Lo ha chiarito il rapporto dell’anno scorso del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, la prima edizione a includere una sezione sui modi in cui i singoli e le famiglie possono ridurre i propri consumi di energia e di altri beni e servizi ad alta intensità di emissioni. Circa il 5 per cento delle emissioni globali potrebbe essere eliminato attraverso le scelte dei consumatori. I modi più efficaci per ridurre le emissioni personali sono ormai noti: Volare e guidare di meno, mangiare meno carne, passare alle auto elettriche e installare un riscaldamento domestico basato sull’elettricità.
Una fonte sottovalutata di emissioni personali, spiega Semafor, è rappresentata dai conti bancari. Le banche utilizzano i depositi nei conti correnti e in altre forme di risparmio per finanziare prestiti commerciali, che nel caso delle banche più grandi comportano molti prestiti all’industria dei combustibili fossili.
(Immagine di Elena Mozhvilo su Unsplash)
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