librocuoreDa un po’ di tempo circola l’idea che la lettura sia un bene in sé, e che vada promossa perché fa bene in quanto tale. L’ultima idea lanciata dal ministro della Cultura Dario Franceschini, quella di istituire una “Biblioteca dell’Inedito”, conferma questa linea. Ma è davvero così? Forse ci stiamo perdendo qualcosa, ma crediamo che il ruolo delle istituzioni (in primis la scuola e la famiglia) sia quello di educare i ragazzi alla lettura, non di promuovere la lettura così, genericamente. Il contesto in cui è stata fatta la dichiarazione di Franceschini la dice lunga sul pensiero che (non) sta dietro all’uscita del ministro. Si trattava infatti della cerimonia di premiazione del concorso per le scuole dal titolo “Scriviamoci. Passami i tuoi pensieri e le tue emozioni in 30 righe”, ossia un concorso che prevedeva di scrivere la prima cosa che passasse per la mente dei ragazzi nello spazio indicato. Come fa notare anche Christian Raimo su Minima&Moralia, si tratta di una non-traccia. Non si invitano gli studenti a confrontarsi con l’impegnativa attività della scrittura, con tutto ciò che questo implica a livello di struttura, lessico, costruzione del periodo, sviluppo dell’idea narrativa. Si chiede loro semplicemente di imprimere sulla pagina ciò che affiora nella loro mente in maniera immediata, “spontanea”, senza un preciso scopo se non trasmettere, genericamente, “emozioni e pensieri”. Fermi un attimo, ma non è ciò che già si fa normalmente sui social network?

Evitiamo di riprendere le recenti parole di Umberto Eco sulla funzione di “amplificazione dell’imbecillità” di questi ultimi, ma di fatto viviamo in un’epoca in cui tutto ciò con cui i ragazzi interagiscono quotidianamente li porta a liberare il proprio pensiero da qualsiasi intenzionalità strutturata e buttare giù “emozioni e pensieri” alla rinfusa. Twitter impone il limite di 160 caratteri, Facebook lascia la più ampia libertà espressiva. Purtroppo la maggior parte di quanto viene pubblicato su queste piattaforme è del tutto trascurabile e parlare di “Biblioteca dell’Inedito” porterebbe a pensare che tutto, in qualche modo, abbia pari dignità. Dal pensierino del giorno all’invettiva sproloquiante, dalla poesia più banale al raccontino senza capo né coda. In questo sforzo di promozione della lettura, Raimo vede due problemi di fondo: «Il ministro Franceschini, insieme a Romano Montroni, libraio di esperienza ma inadeguatissimo presidente del Cepell (Centro per il libro e la lettura), continuano a perseverare in due errori da matita blu: pensare che questo sia il ruolo dell’istituzione, rendere indistinta la differenza tra cultura e comunicazione, tra formazione e pubblicità; e quello di compiere uno sforzo promozionale – inefficace – per compensare le carenze strutturali che abbiamo in Italia sulla lettura e sulla scrittura. Insomma non sono bravi né nel ruolo educativo (che sarebbe richiesto) né in quello commerciale (che non gli ha richiesto nessuno)».

In generale, ultimamente va molto di moda promuovere attività come la lettura e la musica non per il valore che racchiudono in sé, ma perché “fanno bene” a qualcos’altro: al cervello, all’umore, alla coordinazione, alla memoria. In questo modo si perde completamente l’importanza di saper distinguere cosa è buono e cosa non lo è all’interno di tali contesti artistici. Quali sono i criteri per valutare e capire un’opera e il suo contesto, qual è il suo peso nell’evoluzione del pensiero nell’area e nel periodo storico in cui ha trovato diffusione? Non tutto ciò che viene prodotto, in letteratura come in musica, merita di arrivare ai posteri. E soprattutto, non tutto ciò che si legge o si ascolta ha una reale utilità. Campagne come #ioleggoperché, per esempio, hanno in sé la stessa debolezza di insistere sulla promozione della lettura: «L’obiettivo è di stimolare chi legge poco o chi non legge: parliamo di ben più della metà degli italiani», si legge (per l’appunto) sul sito del progetto. Sì, ma leggere cosa? È vero che in Italia si fa poco, ma lanciare un messaggio generico sull’importanza della lettura non aiuta a educare chi non legge a capire cosa leggere e perché. Se l’effetto dell’incentivo è spingere le persone ad andare a rifornirsi al banco degli ultimi best seller di qualche book store, non si sta contribuendo a generare lettori, ma consumatori di libri.