Uno dei casi più incredibili della storia giudiziaria italiana recente è quello dei cosiddetti “Diavoli della Bassa Modenese”. Questa l’etichetta attribuita dai giornali dell’epoca a una vicenda risalente alla fine degli anni ’90, quando le famiglie di 16 bambini di Mirandola e Massa Finalese (Modena) si videro private dei figli per decisione degli assistenti sociali, e poi arrestate e portate in tribunale per violenze sessuali, con l’ulteriore accusa di aver coinvolto i bambini in un giro di pedofilia e riti satanici ordito da un parroco. Grazie anche al bellissimo podcast in sette puntate dal titolo Veleno, di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli, il caso è stato recentemente riaperto e alcuni genitori finora ritenuti colpevoli di reati gravissimi potrebbero vedere cadere i capi d’imputazione a loro carico. Si tratta di una storia molto complessa e drammatica, ricostruita magistralmente dai due autori (ora anche in un libro), che ha visto famiglie divise per sempre e che ha turbato la vita di intere comunità. In realtà, tutto il caso è probabilmente frutto di uno sfortunato insieme di incompetenza e conflitti d’interessi, che hanno portato una storia completamente inventata – a base di sacrifici umani e violenze d’ogni genere – a determinare conseguenze molto concrete: genitori arrestati, bambini affidati a nuove famiglie, un suicidio, un morto per infarto, ecc. Se vi interessa conoscere il resto della vicenda, vi invitiamo ad ascoltare il podcast. A noi, qui, interessa la parte scientifica.
È possibile impiantare un falso ricordo nella mente di un ragazzino?
Secondo gli esperti sì, è possibile, perché i bambini sono molto influenzati dall’autorità degli adulti e, con opportuni espedienti, è possibile portarli ad ammettere di aver visto o fatto cose che non hanno mai visto né fatto. È dunque possibile che le storie raccontate da Dario (nome di fantasia) e dagli altri 15 bambini siano frutto del clima di “psicosi satanista” che aveva colpito l’Italia in quegli anni (con la colpevole complicità dei media), e di metodi di intervista inaccurati (non si sa se per inesperienza o malafede) da parte delle psicologhe. Una ginecologa dalle dubbie teorie e metodi di lavoro, insieme a inquirenti poco accorti nel gestire il caso, hanno completato il quadro di quella che sembra una grande allucinazione collettiva. Ma cosa dicono gli esperimenti scientifici sul tema?
Gli esperimenti per indurre falsi ricordi negli adulti
Tra le varie ricerche sull’argomento, abbiamo letto una revisione sistematica del 2016, che fa una rassegna dei risultati di numerosi esperimenti, confrontandoli tra loro e cercando di trarre delle conclusioni generali. Le ricerche disponibili riguardano la possibilità di “impiantare” in soggetti adulti degli episodi mai successi relativi alla loro infanzia (da 0 a 10 anni). La ricerca sul tema si sviluppa in tre direzioni:
- Imagination inflation studies (studi sulla dilatazione dell’immaginazione), in cui ai partecipanti è richiesto di immaginare ripetutamente eventi che non sono mai avvenuti.
- False feedback studies (studi sul falso feedback), in cui ai partecipanti sono date informazioni false per suggerire loro che probabilmente hanno fatto una certa esperienza da piccoli.
- Memory implantations studies (studi sull’impianto di memoria), in cui l’attendibilità di un certo evento è supportata dalla falsa testimonianza da parte di un membro della famiglia del partecipante o da foto manipolate che lo documentano.
Confrontando numerose ricerche per ogni tipologia di approccio, gli autori della revisione rilevano una grande variabilità nell’efficacia dei vari tentativi di ingannare i partecipanti. Nella maggioranza dei casi è stata comunque registrata una certa resistenza alle suggestioni proposte, anche se alcuni partecipanti sono arrivati a definire “più probabili” eventi che prima escludevano categoricamente. Ci sono comunque delle riflessioni che si possono fare in merito a questi esperimenti, che tornano molto utili se ripensiamo al caso giudiziario da cui siamo partiti.
Le differenze tra laboratorio e realtà
L’efficacia degli esperimenti è limitata da alcuni fattori, che la rendono drasticamente diversa da qualsiasi evento reale. Alcuni terapeuti, infatti, nel parlare con bambini che vengono da famiglie socialmente ed economicamente disagiate, possono fare loro domande molto specifiche in relazione a un contesto che entrambi (terapeuta e bambino) conoscono bene. Fornendo informazioni plausibili, e ponendo ripetutamente certe domande al bambino, possono finire per attuare i metodi della dilatazione dell’immaginazione, “convincendoli” per esempio di avere subito un abuso. I terapeuti che si occupano di questi casi conoscono bene anche il contesto relazionale delle famiglie coinvolte, e alcuni di loro possono finire per suggerire il coinvolgimento di persone esterne alla famiglia negli ipotetici abusi. Inoltre, il rapporto che si stabilisce tra bambino e terapeuta porta quest’ultimo a guadagnarsi nel tempo un rapporto di fiducia e un ruolo di autorità verso il minore. Questo porta il bambino a credere con più facilità a ciò che gli arriva dal terapeuta, e quindi le probabilità che una comunicazione persuasiva abbia successo aumentano sensibilmente. Il terapeuta ha la possibilità di condurre il bambino a porre attenzione a dettagli molto precisi del presunto ricordo, incoraggiandolo a visualizzarli anche se non sono mai avvenuti. La conclusione dei ricercatori è che non bisogna dunque abbassare la guardia su questo tipo di dinamiche quando casi come quello di Mirandola e Massa Finalese arrivano in tribunale. I rischi di manipolazione, in buona o cattiva fede, sono possibili. Semmai sono i test in laboratorio a dover essere migliorati.
Domani, in occasione della Festa internazionale dei lavoratori, il blog non sarà aggiornato. A giovedì e buon Primo maggio a tutte e tutti!
(Foto di Anita Jankovic su Unsplash)