Se ne è riparlato un paio di mesi fa, ma è un tema che ciclicamente torna nel dibattito. Ma le preoccupazioni relative all’estensione del diritto di voto ai 16enni sembrano meno fondate e rilevanti rispetto ai benefici (forse più simbolici che sostanziali) che questa potrebbe portare.

L’ultimo in ordine di tempo a parlare della questione è stato Enrico Letta, nel suo discorso all’Assemblea nazionale del Partito democratico. Lo stesso Letta aveva già lanciato la proposta nel 2019, riprendendo una proposta del 2007 di Walter Veltroni. Ma l’idea ha trovato appoggi anche da destra, con una proposta in tal senso da parte della Lega Nord del 2015. Nonostante il prolungato dibattito, però, nulla di concreto sembra muoversi.

Sperimentazioni di questo tipo sono già in atto in diversi paesi europei, come ha ricordato il Post: «In Europa, alcuni paesi hanno già abbassato i limiti di età al voto: in Austria chi ha sedici anni può votare in tutte le elezioni dal 2007, così come a Malta dal 2018. Per essere candidabili, in entrambi i paesi è necessario aver compiuto 18 anni. In Grecia, grazie a una riforma del governo guidato da Alexis Tsipras, dal 2016 possono votare anche i diciassettenni. In Ungheria i maggiori di sedici anni possono votare se sposati, in Germania solo nelle elezioni dei Parlamenti di alcuni länder e in Svizzera nel cantone di Glarona. In Scozia, i sedicenni hanno votato per la prima volta nel 2014 (al referendum per l’indipendenza) e c’è stata una sperimentazione anche in Norvegia nel 2011, in occasione di alcune elezioni locali».

In Italia la maggiore età è fissata a 18 anni solo dal 1975. Prima di allora bisognava arrivare a 21 anni. Anche allora molti erano contrari all’abbassamento del limite di età (della maggiore età e quindi del diritto di voto): la presunta irresponsabilità dei giovani, il loro disinteresse per la politica, ecc. Argomenti che solo pochi decenni prima riguardavano l’estensione dei diritti politici a poveri, analfabeti e donne. Rispetto alla presunta immaturità dei giovani e al fatto che col diritto di voto si chiederebbe “troppo” da loro, il discorso ha del paradossale: «Semmai in Italia c?’è il rischio contrario – scriveva nel 2007 Alessandro Rosina su Lavoce.info –, ovvero quello di tenerli immaturi a lungo e rallentare tutti i passaggi alla vita adulta. La gran parte dei giovani danesi vive già in modo indipendente dai genitori a diciotto-venti anni. La maggioranza dei giovani europei lascia la casa dei genitori entro i venticinque. Nel nostro paese è invece sempre più comune rimanervi fino ai trenta e oltre. Ben venga quindi un voto che tratta meno da immaturi e responsabilizza un po? di più i giovani italiani».

C’è poi un motivo per cui, almeno attualmente, il voto ai 16enni non comporterebbe grandi sconvolgimenti nel panorama politico italiano: il loro numero. «I sedicenni e diciassettenni in Italia sono circa 1 milione – scriveva nel 2019 Paolo Balduzzi su Lavoce.info –, il 2 per cento della popolazione che ha diritto di voto. Non un granché per influenzare l’esito di una votazione, ammesso, e per nulla concesso, che i più giovani decidano di votare in massa una volta che sia loro permesso». La questione numerica rispetto alla composizione demografica dell’Italia è interessante anche se si analizza la prospettiva politica delle scelte dei più giovani rispetto alla fascia dei più anziani: «L’attuale sistema toglie ai giovani la possibilità di poter incidere  nelle decisioni – ha sottolineato il costituzionalista Francesco Clementi –. Quindi è la demografia che determina la necessità di  riequilibrare il problema del voto per i giovani, perché le decisioni di indirizzo del Paese per lo più sono in mano a una generazione che ha  meno futuro di quello che normalmente i giovani hanno. E questo produce  differenze notevoli della definizione dell’agenda delle politiche, prima che della politica, del Paese, inevitabilmente rallentando ogni spinta  al futuro e alle scelte che esso comporta».

Come hanno dimostrato i diversi casi europei (ed extra-europei), ci sono diversi gradi di adesione alla proposta, che se applicata dovrebbe prevedere una serie di ricadute anche sull’elettorato passivo e in generale sull’educazione dei più giovani al funzionamento dell’ordinamento costituzionale italiano: «[Un approccio] più coraggioso comporterebbe la revisione di tutte le età di elettorato attivo e passivo presenti nella Costituzione e renderebbe possibile, per esempio, l’elezione dei diciottenni alla carica di deputato della Repubblica, età ampiamente diffusa negli altri paesi europei – scrive ancora Balduzzi –. Al contrario, un approccio molto conservativo prevederebbe invece una sperimentazione dell’abbassamento dell’età di elettorato attivo solo per le elezioni locali, vale a dire quelle per i sindaci e i consigli comunali. Ogni regione, peraltro, potrebbe estendere il diritto di voto per le elezioni regionali con legge propria. Infine, una via di mezzo, che non richiede alcuna modifica costituzionale e che renderebbe più omogena la legislazione elettorale europea, potrebbe portare l’abbassamento del limite di elettorato passivo a 18 anni, come nella maggior parte degli altri stati e, perché no, prevedere un passo in avanti anche del nostro paese, fissando il limite di elettorato attivo proprio a 16 anni».

(Foto di Element5 Digital su Unsplash )

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