L’Earth Day (Giornata della Terra), che si celebra oggi, per l’Italia arriva a ridosso di una consultazione referendaria che ha lasciato dietro di sé una scia di polemiche. Mettendo la croce sul sì, una parte del Paese chiedeva (seppure con modalità discutibili) un atteggiamento diverso nei confronti dell’ambiente e della produzione di energia. Anche se, come abbiamo cercato di spiegare, la riuscita del referendum non avrebbe spostato in maniera apprezzabile l’equilibrio energetico del nostro Paese, non si può ignorare il fatto che per tante persone l’ambiente è una priorità più importante rispetto alle opportunità economiche e finanziarie dettate (o comunque agevolate) dalla politica. E in ogni caso quest’ultima non può sperare di smarcarsi dalla questione, spostando l’attenzione su altro. Visto che l’Earth Day parla espressamente di Terra (e non di Stati, regioni, territori, ecc.) occorre alzare lo sguardo e uscire dalla nostra piccola penisola, dal limite delle 12 miglia marine, dal Mediterraneo, dall’Europa e guardare al problema a livello planetario.
Come ricorderete, dal 30 novembre al 12 dicembre 2015 si è svolto a Parigi un incontro, denominato Cop21, per fissare nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica con l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale. La partecipazione, rispetto ad altri summit sul clima, è stata molto alta e gli impegni presi più promettenti del solito. Oggi, in occasione dell’Earth Day, i partecipanti a quell’incontro hanno fissato la data ufficiale per la sottoscrizione dell’accordo, che poi andrà recepito nei vari Paesi. L’entrata in vigore del testo avverrà 30 giorni dopo che «almeno 55 paesi che rappresentano almeno il 55 per cento delle emissioni globali abbiano firmato prima e ratificato in seguito», si legge su Lavoce.info.
Ricordiamo che l’obiettivo condiviso tra i sottoscrittori è fare in modo che la differenza di temperatura globale rispetto all’era preindustriale resti al di sotto dei 2 gradi centigradi, fissando la misura tollerata a +1,5 gradi. «Per centrare l’obiettivo, le emissioni complessive – che pure dell’ultimo biennio sono diminuite – devono proseguire nella loro discesa, che anzi deve accelerare a partire 2020. L’accordo prevede anche la revisione degli obiettivi, da svolgersi ogni cinque anni. Ma già nel 2018 si chiederà agli Stati di aumentare i tagli delle emissioni, così da arrivare pronti al 2020. Il primo controllo quinquennale sarà nel 2023».
Fin qui tutto bene, ma c’è un dato che preoccupa gli studiosi, ossia la “non linearità” del riscaldamento globale. Questo tipo di impegni e limiti vengono fissati partendo dal presupposto che l’aumento della temperatura globale sia un dato che varia nel tempo a un ritmo più o meno costante e progressivo. La realtà è che le variabili che intervengono sono così tante che l’impatto delle attività umane possono avere come effetto un’accelerazione improvvisa dell’incremento, senza che a quel punto l’uomo possa intervenire in maniera efficace per tornare indietro. «“Stiamo entrando nell’ignoto a una velocità spaventosa”, ha spiegato a novembre l’ex segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale Michel Jarraud riferendosi al fatto che il pianeta si sta riscaldando a una velocità mai registrata prima», riporta Gwynne Dyer su Internazionale.
I dati raccolti sulle temperature degli ultimi anni confermerebbero questa tendenza, visto che l’espressione di “anno più caldo di sempre” viene corretta di anno in anno col numero di quello appena trascorso. E se avete avuto l’impressione che lo scorso inverno sia stato particolarmente mite non vi sbagliate, perché gennaio 2016 è stato “il più caldo di sempre”. «A dire la verità – scrive Dyer –, ciascuno degli ultimi undici mesi ha battuto il primato precedente di temperatura media in quel mese dell’anno». Dunque è un bene che accordi come quello che sarà firmato nell’Earth Day vengano redatti, sottoscritti e messi in atto. Ma la preoccupazione di molti è che si sia già superata la soglia oltre la quale, pur impegnandoci a ridurre l’impatto sull’ambiente, non c’è la certezza che i nostri sforzi abbiano una ricaduta positiva. Faremo meglio ad abituarci a vivere in un clima “impazzito”.
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