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La presunta “ventata di novità”, che avrebbe dovuto sparigliare le carte della politica italiana, fatica a spazzare via certe vecchie pratiche tipiche delle Aule del Parlamento. Un esempio lampante si sta osservando da qualche mese a questa parte, nella faticosa serie di votazioni che dovrebbero portare, prima o poi, all’elezione di due giudici della Corte costituzionale (detta anche Consulta). L’organo della magistratura è composto da 15 giudici, di cui cinque nominati dal presidente della Repubblica, cinque dalla magistratura e cinque dal Parlamento riunito in seduta comune, che deve votare i propri candidati con una maggioranza qualificata dei tre quinti degli aventi diritto (570 voti).

La questione è aperta da giugno, quando è scaduto il mandato di due componenti della Consulta. Da allora si è aperto un penoso balletto di accordi presi e non rispettati tra i due principali partiti (Pd e Forza Italia), più tutti gli altri a fare da corollario. Alla faccia delle “larghe intese”, già 18 votazioni si sono susseguite senza che si sia arrivati ai due nomi necessari a chiudere la partita. Per alcuni giorni è sembrato che Antonio Catricalà – ex vice-ministro allo Sviluppo economico del governo Letta ed ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Monti – dovesse spuntarla. Dopo varie votazioni andate a vuoto, questi ha rinunciato alla propria candidatura. È stata poi la volta di Donato Bruno (area Forza Italia) e Luciano Violante (area Pd). La reputazione del primo è stata messa in discussione per una questione giudiziaria nella quale sarebbe coinvolto (non ci sono conferme, visto che «la procura di Isernia non ha né ufficializzato l’eventuale status di indagato di Bruno né lo ha smentito»), mentre per il secondo è stata chiesta la verifica dei titoli e sono nate polemiche interne allo stesso partito che lo ha espresso.

Questa situazione, oltre a confermare la frammentazione presente in Parlamento, causa una gran perdita di tempo, come hanno fatto notare i due capigruppo del Movimento 5 Stelle, Paola Carinelli e Vito Petrocelli, in una lettera inviata (dopo la tredicesima votazione andata a vuoto) agli stessi Bruno e Violante: «Dalla ripresa dei lavori in Parlamento le Camere sono letteralmente impantanate dalla nomina dei componenti di Csm (altra questione aperta, ndr) e Corte Costituzionale per la quota che spetta a deputati e senatori. Nomine su cui non si è riusciti ancora, dopo 13 votazioni, a raggiungere il quorum necessari. Scriviamo facendo ricorso al suo senso di responsabilità chiedendo di ritirare irrevocabilmente la Sua candidatura e togliendo in questo modo il Parlamento dall’impasse in cui si trova dall’inizio di settembre».

Le lungaggini per l’elezione dei rappresentanti della Consulta non sono una novità in Italia, tuttavia in un periodo di grande difficoltà come quello attuale, ci si aspetterebbe un maggiore buon senso da parte della politica. Le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sottolineano questo sentimento: «Rattrista e preoccupa che il Parlamento si autoprivi di una facoltà attribuitagli dalla Costituzione». Anche il presidente della Corte costituzionale ha commentato la situazione, con parole di condanna verso la condotta del Parlamento: «Vogliono riflettere molto? Benissimo. Ma si poteva fare anche con discrezione. Lo spettacolo che stanno dando in Parlamento si riverbera in modo molto negativo sull’immagine della Corte, come se fosse diventata terreno per scorribande politiche. […] La verità è che il mondo politico soffre il ruolo della Corte, concepita per limitarne il potere e correggerne le intemperanze. E del resto i partiti tendono sempre a delegittimare qualunque istituzione indipendente. L’ho provato all’Antitrust». A nostro avviso, l’ulteriore delegittimazione che i partiti stanno mettendo a segno è quella verso se stessi, dimostrando che, rispetto alle intenzioni di rinnovamento e cambiamento annunciate nei mesi scorsi, la realtà è invece molto più radicata al passato.