
Alla fine, il vero partito anti-Europa, almeno in Italia, ha vinto. A prendere la percentuale più alta non è stato infatti il Partito democratico, come riportano tutti i siti d’informazione, bensì quello dell’astensione, che con il 41,31 per cento di non votanti batte di slancio tutti gli avversari. Un risultato non da poco, visto che alle precedenti europee lo stesso partito si era fermato al 33,57 per cento, comunque un buon risultato, ma non certo paragonabile a quello di domenica. Questa, secondo noi, la conclusione che partiti e movimenti dovrebbero sforzarsi di vedere. Ma non lo faranno, presi come sono a interpretare i dati come indice della legittimazione o smentita di ciò che hanno fatto fin qui nella bagarre politica italiana. Come se invece di eleggere i deputati del Parlamento europeo, agli elettori italiani sia stato sottoposto un sondaggio sui leader italiani. «Chi vi sta piacendo di più? Chi vorreste togliere di mezzo? A chi vorreste dare più spazio?».
Ognuno è libero di interpretare come vuole, e i media sono altrettanto liberi di ripetere a pappagallo ciò che dicono gli esponenti politici più in vista. Eppure quel 41,31 per cento sta dicendo alla classe dirigente italiana ed europea che loro (gli astenuti) a Bruxelles non manderebbero nessuno, che non credono nell’Unione europea e non vedono in questa consultazione una vera occasione di partecipazione popolare. Il che è molto grave per un’istituzione che dovrebbe reggersi su una base democratica. Sintetizzava bene ieri sul Corriere Aldo Cazzullo: «L’Europa ha sbagliato la risposta alla crisi. Tutto il mondo ha reagito al crollo industriale e finanziario con una politica di espansione e di investimenti. Soltanto l’Europa, a guida tedesca, ha seguito la linea dei tagli e del rigore, impoverendo tutti i paesi tranne la Germania. […] Il voto europeo conferma una tendenza diffusa ben oltre il continente: il segno del nostro tempo è la rivolta contro le élite, contro le istituzioni, contro le forme tradizionali di rappresentanza. E l’Europa è sentita come fondamento e garante di quelle élite contro cui ci si ribella». Ma non vediamo solo una rivolta contro le élite in questo voto, sarebbe troppo bello.
Se guardiamo fuori dall’Italia, notiamo come in molti Paesi le formazioni politiche più apertamente di destra hanno guadagnato consensi che mai avevano visto prima. Il Front national francese è andato oltre il 25 per cento, così come il Partito del popolo danese. Il Congresso della Nuova Destra (Knp) polacco, anti-establishment e antieuropeo, è arrivato al 7 per cento, mentre i neonazisti greci di Alba Dorata hanno toccato il 9,39 per cento. Un contributo in tal senso arriva anche dalla Germania, che pure è uno degli Stati che più apertamente hanno confermato l’appoggio al governo in carica: «Il partito euroscettico Alternative für Deutschland (AfD) ha ottenuto sette seggi al Parlamento europeo. Creato nel 2013, questo partito è riuscito in una grande impresa, mentre la maggior parte degli altri partiti perdono elettori. A sua volta il partito di estrema destra Npd ottiene un seggio al Parlamento europeo», scrive la Tageszeitung. Quali sono alcuni dei capisaldi della destra più tradizionale? Uno Stato forte, chiusura dei confini, spirito nazionale molto sentito. Tutto il contrario di ciò che dovrebbe essere l’Unione europea, con la sua vocazione inclusiva, di mutuo aiuto, collaborativa. Sembra così che molti cittadini abbiano dichiarato la propria contrarietà alla rinuncia a parte della sovranità nazionale insita nell’adesione all’Ue, così come allo spirito “comunitario” per cui le emergenze e i debiti di chi sta peggio dovrebbero essere compensate dalla virtuosità di tutti gli altri componenti. Quindi, al di là dell’aspetto narcisistico di chi sa solo dire «ho vinto», «ho perso», bisogna capire che il modo migliore per costruire cittadini europei è dare loro l’impressione tangibile di poter dare un contributo alla costruzione dell’Europa. A quanto pare, siamo ancora molto lontani.