Ci si potrebbe stupire per quanto lentamente si stia diffondendo tra le persone la coscienza della gravità dell’emergenza climatica che stiamo vivendo. Gli accordi internazionali tra Stati per impegni condivisi procedono sempre con grande lentezza e difficoltà. Ma anche a livello individuale spesso manca la necessaria coerenza tra ciò che si sa sul problema e l’impatto ambientale del proprio stile di vita. Secondo Joseph Kable, professore di psicologia, una delle spiegazioni sta nel modo in cui funziona il nostro cervello.
Il modo in cui decidiamo
Secondo Kable, che studia il modo in cui le persone prendono (o non prendono) delle decisioni, le circostanze che riguardano l’emergenza climatica la rendono la “tempesta perfetta” delle situazioni che ci portano a non agire. Gli esseri umani per natura valutano i risultati futuri come meno importanti di quelli a breve termine. I nostri antenati dovevano preoccuparsi di quale sarebbe stato il loro prossimo pasto, non di come l’uso del loro smartphone avrebbe causato alluvioni a New Orleans. Nei suoi esperimenti, Kable fa cose come offrire ai partecipanti di accettare 20 dollari subito oppure 40 tre mesi dopo. La metà sceglie i 20 dollari. Sembra che in mancanza di un premio per l’impegno a prendersi cura del proprio “sé futuro”, la decisione tenda a cadere sulla soddisfazione immediata. Per l’emergenza climatica funziona in modo simile. È difficile convincere le persone a fare (o non fare) qualcosa di cui vedranno i benefici tra decenni. «La tendenza è a non preoccuparsene», ha detto Kable. Un altro aspetto del problema, che può costituire un incentivo a cambiare qualcosa, è l’influenza sociale. «L’idea che fare scelte responsabili per l’ambiente sia “la cosa giusta da fare”, che tutti si aspettino che tu lo faccia, e che gli altri siano contrariati se non lo fai: queste sono spinte efficaci per sostenere attività coordinate di gruppo».
Le responsabilità della politica
A margine di questo, viene da pensare che sia compito della politica adottare un approccio di lungo periodo sulle cose. La prima preoccupazione dell’uomo non è più come procacciarsi del cibo da lì a qualche ora, ma spesso la vita individuale o familiare dei cittadini lascia poco spazio all’impegno verso i grandi problemi dell’umanità. Ai politici è demandato proprio di adottare questa visione, oltre che di migliorare le condizioni di vita dei cittadini nell’immediato. Forse troppo preoccupati dai sondaggi e dal proprio futuro politico, essi tendono però a non prendere decisioni che potrebbero rivelarsi “impopolari”, proprio perché adottate con un orizzonte temporale di cui è difficile vedere i vantaggi immediati. Questo è e rimarrà uno dei punti di debolezza degli accordi internazionali, che finché continueranno a essere non vincolanti otterranno ben poco (ci sono anche grossi interessi commerciali di mezzo, oltre alla questione dei consensi). Possiamo sperare che, ora che l’emergenza climatica sta conoscendo un’inedita popolarità, cada una delle barriere che hanno sempre indebolito questo tipo di azioni, e che la politica si impegni a rispettare, come spesso ripete, gli interessi dei cittadini.
(Foto di Markus Spiske su Unsplash)