Nonostante il Nobel per la pace 2017 alla campagna mondiale per il disarmo nucleare (Ican), il mondo negli ultimi tempi sembra andare da un’altra parte. Lo rivela il rapporto “Don’t bank on the bomb” (letteralmente “Non investire nella bomba”), realizzato da Ican insieme alla ong olandese Pax. Gli equilibri mondiali dal punto di vista della minaccia atomica sono piuttosto instabili negli ultimi tempi.
Da quando Donald Trump si è insediato alla presidenza degli Stati Uniti non è quasi passata settimana senza che si registrassero schermaglie tra lui e il dittatore della Corea del Nord Kim Jong-Un. Trump a settembre 2017 è arrivato a definirlo “rocket man” (“uomo razzo”) e a minacciare più volte un attacco al suo regime. Kim ha risposto volta per volta con dichiarazioni temerarie e soprattutto con test missilistici (più o meno riusciti) che hanno fatto irritare parecchio sia gli Stati Uniti sia il vicino Giappone. Ultimamente ci sono state manifestazioni di una volontà di distensione da parte della Nord Corea, sia rispetto agli Stati Uniti, sia verso la Corea del Sud. Qualcuno ci crede, per molti non c’è niente di concreto alla base, staremo a vedere.
La vittoria schiacciante (e altamente prevedibile) di Vladimir Putin alle elezioni di domenica scorsa in Russia ha riportato l’attenzione sul suo intervento del primo marzo, in cui parlava del piano di ammodernamento e sviluppo dell’arsenale nucleare avviato dal suo governo. Durante l’intervento Putin si è rivolto direttamente agli Stati Uniti ed è stata mostrata un’animazione di un missile russo che, dopo avere aggirato l’America Latina, si dirigeva verso le isole americane nell’Oceano Pacifico. Negli ultimi giorni, poi, il presidente russo ha “mostrato i muscoli” anche nei confronti del Regno Unito, dal quale è stato accusato di avere un ruolo nell’avvelenamento di una spia russa (e di sua figlia) avvenuto a Londra nei giorni scorsi. Per non parlare della Siria, in cui gli eserciti di diversi Stati si contendono l’egemonia sul territorio, supportando le varie fazioni contrapposti.
C’è chi dice che sia in corso una nuova Guerra fredda, chi osserva che probabilmente quella cominciata dopo la Seconda Guerra Mondiale non sia mai finita. Un quadro che preoccupa dunque, e che fa a pugni con l’assegnazione del Nobel a cui facevamo riferimento in apertura. Nonché col fatto che, come rileva il rapporto “Don’t bank on the bomb”, nel 2017 «Un totale di 525 miliardi di dollari (un aumento di 81 miliardi di dollari [rispetto al 2016]) è stato messo a disposizione delle aziende produttrici di armi nucleari – si legge nella traduzione fatta dal sito della campagna Non con i miei soldi –; tra questi 110 miliardi di dollari provenivano da sole tre società: BlackRock, Vanguard e Capital Group. 329 banche, compagnie di assicurazione, fondi pensione e gestori patrimoniali di 24 paesi investono in modo significativo in armi nucleari. Le 20 maggiori compagnie produttrici di armi nucleari, la maggior parte delle quali ha a propria disposizione significative risorse di lobbying a Washington, trarranno beneficio dalla crescente minaccia nucleare. Una nota positiva: dopo l’adozione del Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari, 30 società hanno cessato di investire in armi nucleari. Due dei cinque maggiori fondi pensione al mondo stanno disinvestendo dalle armi nucleari».
Ci sono anche buone notizie: «Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari ha rilanciato il disinvestimento dalle armi nucleari – ha scritto Susi Snyder, della Ong PAX –, evidenziato dal 10 per cento in meno di investitori, ed un incremento nelle istituzioni finanziarie che proibiscono qualsiasi forma di investimento». Con la campagna “Italia, ripensaci”, la Rete italiana per il disarmo chiederà al Parlamento (non appena si sarà insediato) di procedere alla ratifica del trattato.