Non si fermano, anzi, si moltiplicano, gli atti di intimidazione ai danni delle varie sedi Equitalia sparse per il Paese. Proprio nella notte tra lunedì e martedì gli ultimi due casi. Due ordigni esplosi a Napoli, con danni alla saracinesca e alle vetrine, e due manichini impiccati posti sui cancelli della sede di via Aurelia, a Roma. Per non parlare dei numerosi plichi contenenti bossoli inviati qua e là, giusto per far capire il livello di simpatia generato dall’istituto.

La situazione desta qualche preoccupazione, anche perché il periodo di tagli trasversali sta portando a un corrispondente taglio dei servizi, o a un aumento dei loro costi a carico del cittadino, a fronte di una pressione fiscale che si fa più pesante. Equitalia è il capro espiatorio della tensione crescente tra cittadini e Stato. Una contrapposizione che il nostro Paese ha già conosciuto, e che ha portato negli anni ’70 del Novecento a estremismi dalle conseguenze tragiche.

Oggi la parola d’ordine è indignazione, il che non dovrebbe far pensare a un imminente scontro frontale. Al momento gli episodi più duri di contestazione si sono limitati agli atti di rivolta vandalica emersi all’interno di grandi manifestazioni del tutto pacifiche, come l’ultima del 15 ottobre a Roma. Ma questi ultimi eventi generano solitamente reazioni di aperta condanna e sdegno. Anche perché non si capisce bene quale sia il messaggio contenuto nella distruzione di una vetrina, nel lancio di sassi alle forze dell’ordine o nel divellere un cartello stradale.

Le azioni contro Equitalia sono invece circoscritte, mirate, meditate. Stanno nascendo comitati e movimenti contro l’ente, sul sito web www.antiequitalia.org si leggono frasi di questo tipo, in merito alla “Strategia dei botti”: «La violenza comportamentale deriva sovente dalla molto più criminogena violenza strutturale». È una dichiarazione ben poco equivocabile, che giustifica apertamente atti che potrebbero finire per ferire qualcuno, oltre che danneggiare cose. Quelli che il sito definisce “effetti collaterali”, con un understatement di dubbio gusto.

Alla base di questa situazione c’è un rapporto tra Stato e cittadino che non è più sereno. Da più parti si sente dire che l’evasione fiscale è giustificata da una pressione fiscale troppo alta. Ma è chiaro che se tutti evadono, le tasse aumentano. Con la conseguenza che chi non le pagava continuerà a non pagarle, chi evadeva in parte evaderà un po’ di più, mentre l’unico a perderci sarà chi è sempre stato in regola. D’altra parte i metodi di riscossione di Equitalia sono stati denunciati più volte per la loro durezza e per le modalità ai limiti della legge, se non al di fuori. Spesso, in caso di ricorsi, il giudice dà infatti ragione al cittadino, ma a fronte di una guerra burocratica in cui quest’ultimo è penalizzato dal fatto di dover dimostrare pagamenti avvenuti anche dieci anni prima della contestazione, con tutte le difficoltà e lo stress del caso.

Manca, come fa notare Massimo Gramellini in un suo articolo del 4 gennaio, una percezione forte di interesse comune: «La maggioranza degli italiani è convinta che le tasse riscosse da Equitalia non serviranno a pagare i servizi essenziali, ma a ingrassare i soliti noti, perciò vive l’evasione come una forma di autodifesa invece che come una diserzione sociale. In realtà i servizi, anche se pessimi, ci sono e ce ne stiamo accorgendo adesso che cominciano a scarseggiare. E ci sono anche gli evasori: quelli grandi, certo, ma pure i piccini, che la latitanza dei grandi non rende meno colpevoli».