Nel 2004 Elizabeth Holmes, una studentessa 19enne di Stanford (California), lasciò l’università per fondare una startup che avrebbe dovuto cambiare il mondo della salute, per sempre. La giovane studentessa sosteneva di aver trovato il modo di fare gli esami completi del sangue (il cosiddetto emocromo) a partire da una goccia di sangue, sfruttando un apparecchio economico quanto accurato di sua invenzione. La sua storia, ripercorsa in un articolo della London Review of Books, sembra seguire quella dei tanti “dropout” di successo, ossia degli studenti giovani e talentuosi che lasciano l’università per rischiare tutto in progetti innovativi e ambiziosi nella Silicon Valley. Alcuni li conosciamo bene: Steve Jobs, Bill Gates, Mark Zuckerberg, per citare i più noti. Holmes prometteva di seguire un percorso simile quando creò l’azienda che si sarebbe chiamata Theranos (da “therapy” più “diagnosis”).
La nascita di Theranos
Uno degli amici d’infanzia di Holmes era Tim Draper, venture capitalist famoso per alcune operazioni con i bitcoin che gli hanno fruttato milioni di euro. L’idea di Holmes era rivoluzionaria: rendere facili, immediate ed economiche le analisi del sangue, con un apparecchio che si sarebbe potuto installare in qualsiasi farmacia, studio medico o centro benessere. L’idea avrebbe permesso un enorme risparmio di denaro per il sistema sanitario statunitense (tra i più cari al mondo, e molto diverso rispetto al nostro Servizio sanitario nazionale), e al contempo avrebbe potuto salvare milioni di vite umane, con diagnosi precoci e cure tempestive. I medici avrebbero potuto usare i dati raccolti dal tester per individuare centinaia di possibili patologie contemporaneamente. «Abbiamo in mente un mondo in cui nessuno debba dire: “se solo l’avessi saputo prima”. Un mondo in cui nessuno sia mai costretto a dire addio troppo presto», recitava una campagna dell’azienda.
La compagnia, su consiglio di Draper, operò per anni in “stealth mode”, ossia in totale segretezza. I visitatori ammessi erano seguiti costantemente («anche al bagno»), e chi ci lavorava doveva firmare clausole di riservatezza ristrettissime. Nessun paper pubblicato, nessuna peer review, l’ufficio di Holmes costruito sul modello della Stanza Ovale della Casa Bianca, con tanto di vetri antiproiettile.
Finalmente si vedono gli Edison, gli “iPod per la salute”
Dopo dieci anni di totale riservatezza, finalmente vengono mostrate le prime macchine, battezzate Edison. Il progetto continua a crescere, giornali come Fortune e il New Yorker dedicano a Holmes e alla sua azienda articoli pieni di ammirazione e speranza. A Phoenix aprono quaranta Theranos “Wellness Centres” dentro la catena di farmacie Walgreens. Safeway, grande catena di supermercati, spende 350 milioni di dollari per mettere cliniche Theranos nei suoi centri commerciali. Accordi commerciali vengono stipulati con aziende farmaceutiche, istituti di ricerca, assicurazioni sanitarie, con l’obiettivo di effettuare un milione di esami del sangue nel 2015. Tutto questo senza uno straccio di prova, di test fatto da osservatori indipendenti, sul fatto che gli Edison funzionino davvero, che i loro risultati siano attendibili. Ma qualcuno, finalmente, comincia a indagare.
L’inchiesta, la truffa, le cause legali
Un patologo della Columbia (Missouri), Adam Clapper, segnala l’articolo del New Yorker al giornalista investigativo John Carreyrou, del Wall Street Journal (che ha recentemente pubblicato un libro sulla vicenda dal titolo Bad Blood). L’osservazione di Clapper è banale, ma fondamentale: un conto sono le intuizioni dei grandi innovatori del campo tecnologico, pieno come si sa di autodidatti. Ma la medicina è un’altra cosa, e nessuna grande svolta nella storia è mai arrivata da qualcuno che non avesse alle spalle anni di studi approfonditi.
Carreyrou, con difficoltà, riuscì ad accedere a una prima fonte, la moglie di un ex-dipendente della Theranos che si era suicidato, secondo la moglie proprio a causa di ciò che accadeva nell’azienda. Rotto il ghiaccio, sempre più persone si resero disponibili a parlare, e alla fine della sua inchiesta Carreyrou ne aveva intervistate una sessantina. La verità che emergeva era molto diversa da quella dipinta da Holmes. Gli Edison in realtà non funzionavano, o meglio davano risultati attendibili quanto fare testa o croce con una monetina.
Fake it, until you make it
Può sembrare una follia, e forse lo è. Ma l’idea alla base è un adagio che pare circoli molto nella Silicon Valley: “fake it, until you make it”, ossia “fingi di averlo, finché non ce l’hai davvero”. Molte startup tecnologiche basano parte del loro rischio sul fatto di cominciare la raccolta fondi quando ancora non sono sicure che l’intuizione che hanno avuto sia davvero realizzabile. La scommessa è che col tempo, e grazie ai soldi ricevuti, si riesca a realizzarla prima del lancio vero e proprio. Cosa che non è riuscita a Holmes, che in dieci anni di attività non ha ottenuto quanto promesso.
Così sono cominciate le cause legali, «Holmes è stata condannata a pagare una multa da mezzo milione di dollari e le è stato vietato di assumere qualsiasi incarico dirigenziale all’interno di aziende quotate in borsa per i prossimi dieci anni e di gestire dei laboratori medici per due». Nel frattempo ci sono cause in corso contro Walgreens, da parte di pazienti che a causa dei test sballati si sono sottoposti a cure non necessarie, o viceversa. A una persona, per esempio, è stato detto di essere completamente sana, mentre poi è stata colpita da un attacco cardiaco altrimenti prevedibile.