Siamo pronti per affrontare lo scoppio di una nuova bolla finanziaria? Decisamente no, visto che a quasi dieci anni dall’ultima grande crisi stiamo ancora raccogliendo i pezzi di quella deflagrazione. Eppure, secondo alcuni economisti, ci sono tutte le condizioni affinché questo possa avvenire da un momento all’altro. Qualche mese fa avevamo già affrontato l’argomento su ZeroNegativo, pubblicando una serie di ipotesi su quali fossero i settori più instabili dell’economia e della finanza, rivolgendo lo sguardo soprattutto verso gli Stati Uniti.
Oggi il quadro si fa più chiaro e riguarda direttamente l’Europa e le politiche monetarie applicate negli ultimi anni dalla Banca centrale europea (Bce). In particolare, dopo la crisi del 2007/2008, lo sforzo della Bce è stato quello di aumentare la liquidità del mercato, nella speranza che il nuovo denaro in circolo avrebbe favorito la ripartenza dell’economia. In particolare, è stato attuato il Quantitative Easing. In sostanza, per sbloccare il denaro investito dalle banche, la Bce si è impegnata a comprare i titoli (di stato e non) in portafoglio, a condizioni vantaggiose (per una spiegazione più approfondita consigliamo questo articolo del Post). In questo modo si è aumentata la liquidità a disposizione delle banche che, questa era la speranza della Bce, sarebbero state maggiormente disposte a concedere prestiti e finanziamenti alle aziende, aiutando così la ripresa dell’economia. Come politica in sé non si può condannare in toto.
Il problema, è il pensiero di molti economisti, è che la politica monetaria da sola non basta a superare una crisi così profonda, che porta con sé una serie di altri problemi. Per affrontare la situazione ci vuole (ci voleva) la politica, quella fatta dai governi e dai Parlamenti. Le sole istituzioni finanziarie, per quanto possano sforzarsi di trovare le soluzioni tecniche più adatte alla situazione, da sole non bastano. L’aumento di liquidità, se pure in parte è stato usato per i fini auspicati dalla Bce, per la maggior parte è andato invece ad alimentare operazioni finanziarie che ne hanno accresciuto il valore, mentre l’economia non cresceva altrettanto velocemente. Sappiamo bene che quando questa forbice si allarga troppo si crea un vuoto, riempito dalla famigerata bolla. Prima o poi però arriva sempre il momento in cui i due sistemi (economia e finanza) si riallineano, la forbice si richiude e (più o meno fragorosamente) la bolla scoppia. «Le imprese – spiega Andrea Baranes su Sbilanciamoci.info – hanno utilizzato questi soldi facili non per investimenti produttivi o ricerca, ma in gran parte per acquistare azioni proprie, spingendone la quotazione ancora più in alto. Per alcune delle più grandi multinazionali del mondo l’acquisto di azioni proprie ha superato anche gli utili. Come dire che non solo non si investe in ricerca e innovazione, ma si è arrivati alla follia di indebitarsi unicamente per aumentare artificialmente profitti e bonus dei manager, drogando il proprio corso azionario».
Il vuoto politico si è manifestato dunque anche nel non riuscire a porre un freno alle operazioni finanziarie di banche e aziende, così da scongiurare nuove speculazioni. «All’indomani del 2007 – prosegue Baranes – l’impegno solenne era quello di chiudere una volta per tutte il casinò finanziario e di ridurne potere e influenza. Non solo non è stato fatto, ma ci troviamo oggi in una situazione probabilmente peggiore. Se scoppiasse una nuova crisi, quale Stato potrebbe mettere in campo piani di salvataggio paragonabili a quelli che furono necessari allora? E quali potrebbero essere le conseguenze, considerando non solo la situazione finanziaria ma prima ancora la rabbia sociale, la crescente sfiducia e il rischio concreto di una disgregazione del’Ue? Tutti fattori che nel 2007 non erano presenti o comunque non avevano certo il peso che hanno oggi».
Si sta registrando, spiega Sergio Bruno in un articolo per la stessa testata, una sorta di «inflazione degli stock», per cui mentre il prezzo dei beni è sostanzialmente costante da anni, mentre sta invece crescendo a dismisura il valore degli «stock di ricchezza». Cresce il valore del mercato, ma non migliorano l’economia, l’occupazione, il benessere delle persone. Banche e aziende sono sempre più esposte a livello finanziario, e dunque un’improvvisa instabilità del mercato potrebbe far crollare il valore della loro ricchezza. Sotto tutto questo ci sono i cittadini, ancora scottati dalla crisi cominciata dieci anni fa. E stavolta, se scoppia un’altra bolla, in pochi avranno a disposizione un ombrello per ripararsi.
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