
Ci sono tre leggi che aspettano di essere discusse e approvate da tempo da parte del Parlamento: quella sull’eutanasia, sul reato di tortura e sull’introduzione degli status di disabile grave e gravissimo. Tre norme che non sposterebbero di un euro le disponibilità delle casse dello Stato, ma stabilirebbero regole certe su alcuni diritti civili importantissimi, che da tempo chiedono maggiore attenzione. Sull’eutanasia circola da ieri un video realizzato dall’associazione Luca Coscioni, nel quale 70 persone in 200 secondi chiedono che il Parlamento inizi se non altro una discussione sul tema. A mettere la faccia per la campagna dal titolo “Eutanasia. Il Parlamento si faccia vivo” medici, infermieri, malati, semplici cittadini ma anche personalità di spicco del mondo della politica e dello spettacolo (tra cui Marco Bellocchio, Neri Marcorè, Roberto Saviano). Il messaggio inviato alla politica (ma anche a chi si schiera a priori contro la regolamentazione della fine vita) è che depenalizzando l’eutanasia «non si avrebbero più morti, ma meno dolore».
È poi noto che in altri Stati anche confinanti con l’Italia, tra cui la Svizzera, c’è la possibilità di rivolgersi a strutture pubbliche per mettere fine alle proprie sofferenze, conservando la dignità. È perciò ingiusto continuare a costringere le persone a dover “emigrare per morire”, o peggio ancora ricorrere al suicidio o chiedere l’aiuto di qualcuno nonostante la possibilità per quest’ultimo di dover poi scontare fino a 15 anni di carcere per omicidio. Quella del Parlamento in questo caso è un’inadempienza ancora più grave, se si considera che sono passati ormai otto anni da quando il presidente Giorgio Napolitano rispose alla lettera di Piergiorgio Welby, esortando le istituzioni a intervenire sul tema. Da allora molte parole sono state spese, ma al momento nemmeno il cosiddetto “testamento biologico” è diventato realtà.
Sul reato di tortura ha richiamato l’attenzione proprio ieri Amnesty International (assieme ad Antigone, Arci, Cild e Cittadinanzattiva), con una conferenza stampa che si è tenuta alla Camera dei Deputati, dove da marzo è fermo il disegno di legge approvato al Senato. Manca solo il passaggio a Montecitorio per arrivare ad avere una legge che introduca il reato di tortura nel codice penale, anche se, così com’è, il testo ha delle grosse lacune (ce ne siamo occupati qui). «È un testo che, secondo le organizzazioni per i diritti umani, dev’essere migliorato – si legge sul sito di Amesty Italia–. La tortura non è qualificata come reato proprio bensì come reato comune, con l’aggravante nel caso in cui l’autore sia un pubblico ufficiale. Inoltre, il testo non prevede la perseguibilità delle condotte omissive e non contempla un fondo nazionale per le vittime della tortura». Sarebbe quindi solo un primo passo quello dell’approvazione della legge, ma almeno si colmerebbe il ritardo di 25 anni rispetto alla ratifica della Convenzione Onu contro la tortura. Potrebbe sembrare un tema lontano dalla realtà di tutti i giorni, ma il rapporto pubblicato recentemente dal Senato americano sulle torture commesse dalla Cia durante l’amministrazione di George W. Bush (2001-2009) fa rabbrividire, e stiamo parlando degli Usa, considerati il faro della democrazia nel mondo.
L’ultima questione su cui ci preme portare l’attenzione è meno frequente nel dibattito politico, e consiste nella mancanza di uno status specifico (stabilito dalla legge) per i disabili gravi e gravissimi. La necessità di una differenziazione si pone in quanto la scarsità di risorse per l’assistenza alla disabilità crea un problema di distribuzione dei fondi. La questione è stata in parte sanata nel 2014, quando fu istituito il fondo per le non autosufficienze, ma all’interno del decreto ministeriale si specifica che la definizione è valida «ai soli fini del presente decreto». Per capire meglio il problema, chiudiamo con una considerazione di Antonio Giuseppe Malafrina, pubblicata sul blog Invisibili: «Per alcuni il concetto di disabilità grave/gravissima dovrebbe sparire. Io sono favorevole alla cancellazione se si ripensa il sistema d’assistenza alla persona, concedendola a tutti nell’intera misura di cui ognuno ha bisogno. Ma non ci sono risorse. Allora è inevitabile andare incontro a chi ha più bisogno. Dunque, nel nero seppia della disperazione dei disagi della disabilità grave e gravissima, le sfumature diventano necessarie».