Nella lotta all’evasione fiscale per i capitali depositati in banche svizzere, mentre l’Italia ha offerto agli investitori la protezione dello scudo fiscale, Germania e Regno Unito hanno preferito la frusta. Ci riferiamo agli accordi stipulati tra i due stati e la confederazione elvetica, che puntano a tassare (con effetto retroattivo) i capitali depositati nei conti svizzeri, al riparo da prelievi fiscali. Berlino ha previsto una liberatoria con aliquote tra il 19 e il 34 per cento da applicare ai capitali attualmente investiti, come “sanatoria” per le tasse non versate in passato. Dal primo gennaio 2013 scatta il nuovo regime, che pone i cittadini tedeschi davanti a due possibilità: dichiarare i patrimoni e pagare le tasse in Germania, oppure mantenere l’anonimato accettando il prelievo alla fonte applicato dall’erario svizzero (il 26 per cento di dividendi, interessi e altri redditi da capitale), che sarà poi girato a quello tedesco. Chi non accetterà queste condizioni, dovrà mettere i soldi in valigia e trasferirli in altre banche, non svizzere. Simile l’accordo con la Gran Bretagna, che fissa un’aliquota massimale del 34 per cento sui patrimoni, variabile secondo importi e anni di deposito. A partire dal 2013, chi non vorrà pagare le tasse in Svizzera (restando anonimo) sarà soggetto a un’aliquota del 27 per cento sui redditi da capitale, il 40% sui dividendi e il 48% sugli interessi. Altrimenti, come per la Germania, si potranno dichiarare i patrimoni e pagare le tasse a Londra. Tanto per dimostrare l’effettiva volontà di dare seguito agli accordi siglati, la Svizzera si è impegnata a versare da subito un anticipo di quello che sarà il gettito previsto (un miliardo e mezzo di euro alla Germania, 400 milioni alla Gran Bretagna).

E l’Italia? Si stima che nelle casse elvetiche siano depositati tra i 130 e i 230 miliardi di euro italiani. Stipulare un accordo simile potrebbe voler dire ottenere un anticipo sicuro di circa 2 miliardi di euro, più un’entrata una tantum tra i 5,2 e i 9,2 miliardi di euro sui mancati versamenti passati, seguiti poi da contributi annui a partire dal 2013. Secondo il Sole 24 Ore, al ministro Giulio Tremonti non piacerebbe questo tipo di accordo, perché con esso «le banche elvetiche conservano il segreto bancario e quindi continuano a garantire l’anonimato ai clienti che lo richiedono». Molto meglio, ci viene da dire, lo scudo fiscale del 2009, con cui a un prezzo minimo (il 5 per cento) si è rinunciato all’accertamento tributario sui capitali investiti (3,7 miliardi), allo scopo di indurre gli investitori a farli rientrare (e quindi, si supponeva, reinvestirli in attività imprenditoriali o finanziarie all’interno del Paese). In pratica, i soldi acquisivano finalmente delle credenziali, ma senza nessuna possibilità di indagine sulla loro provenienza. Perché invece non prendere esempio da Germania e Regno Unito? Siamo alle soglie del varo di una manovra fiscale da lacrime e sangue per i contribuenti, gli enti locali, le imprese, il terzo settore, insomma tutti i soggetti che potrebbero fare da traino per la ripresa dell’economia. Non è meglio invece su chi punta a eludere gli obblighi fiscali spostando fondi verso paradisi in cui vige la sospensione del diritto? Se comunque con lo scudo fiscale non si è riusciti a far riemergere dall’illegalità i capitali rientrati, tanto vale almeno tassarli. Pare che siano avvenuti i primi contatti tra Tremonti e Giuliano Bignasca -presidente della Lega dei ticinesi, partito populista e antieuropeista-, con la mediazione di Umberto Bossi. «Mi è sembrato un Tremonti molto collaborativo», ha raccontato Bignasca al giornale online Ticinonews.ch, «forse perché non hanno più soldi». Pare che, anche di là dal confine, la situazione italiana appaia molto chiara. E forse, in una situazione del genere, sarebbe meglio agire. Austria e Grecia hanno già manifestato interesse verso un’operazione simile, noi cosa aspettiamo ancora?