Simone Fanti ha attraversato gli spazi di Expo 2015 in compagnia di alcune persone con disabilità sensoriale, per verificare l’accessibilità e la fruibilità dei padiglioni. Il racconto, pubblicato sul blog InVisibili, fa emergere alcune lacune.
Scarpe da tennis no logo indossate, bottiglietta d’acqua infilata nello zaino, camicia, ahimè, di ordinanza… tutto è pronto per tornare all’Expo. Questa volta in macchina e in compagnia di altre persone sorde e non vedenti. Avevamo verificato l’Esposizione universale verificandone l’accessibilità per persone con disabilità motoria e segnalando che sembrava poco accessibile per le persone con disabilità sensoriale. Così torniamo con gli esperti. È lunedì 29 giugno, verso le 14,30 del pomeriggio quando arrivo al parcheggio riservato ai disabili (20 posti circa) di porta Merlata. Comodo si fa per dire perché dista qualche centinaio di metri dall’entrata, da fare quasi totalmente al sole. Ma poco importa il posto c’è, parcheggio e mi preparo. Per poi scoprire che il marciapiede non è dotato di uno scivolo e senza accompagnatore è difficile scavalcarlo. Suona come una beffa, piazzola di sosta per disabili, di nuova costruzione… vista Expo e con barriere architettoniche.
Devo affrettarmi, però. Alle 15 davanti al palazzo Italia devo incontrare il mio primo accompagnatore, Antonino Cotroneo, un ragazzo ipovedente (con un visus residuo molto ridotto) che mi viene incontro soddisfatto e in autonomia. Reggino di nascita, a Milano lavora come insegnante di musica. Con un sorriso dice: «È la seconda volte che vengo e dalla metro fin qui mi nuovo agevolmente con la strisce pedotattili». Poi arriva con piglio ben più deciso l’altra ospite della giornata. Lei è Mara Paola Domini, presidente dell’Ente nazionale sordi (Ens) di Milano, accompagnata da un consigliere dell’associazione e da due interpreti di lingua dei segni del comune di Milano (ammetto di non conoscere questa lingua ma prometto di rimediare alla lacuna).
Il suo volto rosso e irato mi racconta il suo disagio più di mille parole. «Nulla o veramente poco all’Expo è stato fatto per i sordi – racconta ai nostri microfoni». E nel tour di 3 ore che segue l’incontro mi dimostrano quanto quelle parole siano verità. Nessuno parla la lingua dei segni, molte attrazioni sono al buio o a luce molto bassa così diventa difficile vedere i segni, quasi tutte i filmati sono sottotitolati, ma in inglese. Il carnet de doleances si conclude con la notizia che tre ragazzi napoletani sordi sono stati fermati prima dalla sicurezza interna poi dalle forze dell’ordine perché vestivano una maglietta di protesta “No deaf no expo – no sordi no expo”. Ovviamente non sono riusciti a comunicare e hanno dovuto attendere l’arrivo di interpreti e responsabili Ens per sbrogliare la situazione.
La sordità è poi una disabilità invisibile: non c’è una carrozzina o un bastone bianco ad indicarla. In caso di emergenza chi sa che quella persona non avverte le sirene d’allarme? Un Expo negato, in altre parole, per i sordi. Ma anche a Cotroneo la felicità si è spenta in viso non appena siamo entrati nei padiglioni. Il percorso pedotattile si ferma a qualche metro dalle entrate degli stand. «Grazie alle mappe in braille posso raggiungere ogni posto dell’expo – racconta – sono ben fatte, ma dopo l’ingresso… le colonne d’ercole, il buio più completo. Non una didascalia in braille e pochissimi oggetti da toccare». Ci consoliamo con una pasta cacio e pepe (con 30 gradi all’ombra). Lo saluto e mi avvio all’altro appuntamento della serata con Io donna e Oxfam sullo spreco alimentare. Ma la promessa di “accessibilità totale” non è stata una delle discriminanti che ha consentito a Milano di sbaragliare la concorrenza nella corsa ad organizzare Expo? Si vince grazie ai disabili e poi si dimenticano?