Il presidente dell’ordine nazionale dei giornalisti, Enzo Iacopino, ha deciso (utilizzando un adagio molto di moda ultimamente) di “metterci la faccia” per smascherare le ingiustizie commesse dai gruppi editoriali nei confronti dei giornalisti e collaboratori in termini di compensi corrisposti, con la campagna “Facciamo verità”. Da tempo la professione giornalistica sta attraversando una fase di profondo mutamento, e in questo hanno giocato un ruolo fondamentale la crisi dei giornali assieme all’espansione di internet. Si fa sempre più fatica a definire i contorni del giornalista in un mondo in cui, leggendo un articolo che copre un certo evento o sostiene una certa tesi, si scopre poi che sul blog di un anonimo (ma molto informato) utente (o tra i commenti in fondo alla pagina) sono presenti informazioni che mettono seriamente in crisi l’impianto dell’articolo o la tesi in esso contenuta. Inoltre, dopo anni in cui esercitare la professione giornalistica era considerato quasi un privilegio, per i compensi e le garanzie previste dal contratto nazionale, si è passati in poco tempo a un contesto in cui i posti a disposizione sono pochissimi in confronto a quanti vorrebbero ricoprirli, mentre la stragrande maggioranza degli operatori del settore si deve accontentare delle briciole concesse ai collaboratori per riempire di contenuti siti web e giornali. A discapito, per forza di cose, della qualità del lavoro svolto e di quella della vita di chi esercita (o vorrebbe esercitare) il mestiere.
Iacopino, che più che difendere i privilegi della categoria si è sempre impegnato a combattere le ingiustizie presenti nel sistema, ha così deciso di pubblicare sulla propria pagina Facebook (consultabile anche da chi non è iscritto al social network) i documenti relativi ai compensi dei vari gruppi editoriali. Le fonti sono i giornalisti stessi, impiegati nelle diverse testate, che inviano il materiale con la garanzia che esso sarà pubblicato in forma anonima (la faccia, appunto, ce la mette Iacopino). Con queste premesse, la campagna (iniziata da poco, il primo post risale al 10 marzo) promette di rivelare informazioni davvero interessanti, perché affidabili e recenti. Si parte per esempio dalla Gazzetta dello sport, che in una lettera del 24 febbraio 2014 avverte i propri collaboratori della necessità di una «ridefinizione (termine che in questi casi è sempre sinonimo di riduzione, ndr) dei costi di collaborazione». In allegato una tabella che illustra come dal primo marzo, per l’edizione nazionale del giornale stampato, il compenso a pezzo vada dagli 8 ai 30 euro (lordi) a seconda della lunghezza. Quest’ultimo in caso di articolo «superiore a 3.240 battute», indipendentemente dal fatto che possano essere 3.300 o 6.000. Per l’edizione online non si va oltre i 20 euro lordi. A questo punto si torna al discorso che spesso le grandi aziende adducono nei confronti dei collaboratori come scusa per pagarli poco: l’autorevolezza. Siamo un grande giornale, quindi ti conviene comunque lavorare per noi, fa curriculum, l’importante è che non si sappia in giro che garantiamo compensi da fame.
Si passa poi all’Unione Sarda, dove il collaboratore può prendere 20,66 euro lordi per un pezzo di apertura, 30 per uno di cultura, ma anche 2,07 euro (ribadiamo: lordi) per una notizia breve di sport. All’Ansa corrispondono 5 euro per ogni «segnalazione e/o informazione effettivamente utilizzata» dall’agenzia, 10 nel caso in cui oltre alle parole siano forniti dal collaboratore contenuti audio/video. È utile soffermarsi sulla formula “effettivamente utilizzata”, perché significa che intanto uno lavora e produce informazione, poi se l’agenzia decide di non utilizzarla non se ne fa nulla. Il gruppo Finegil (Centro Sud) arriva a proporre 5,16 euro «per una fornitura minima di 1.520 battute», sempre solo in caso di effettivo utilizzo e con tutte le spese a carico del collaboratore, salvo autorizzazioni speciali. Su Vogue.it si sale leggermente, ma se pensiamo che questo voglia essere un mestiere e non un hobby allora il punto di vista cambia: si parte da 20 euro ad articolo sotto le mille battute, fino a 30 euro oltre le mille battute, che possono salire a 50 se corredate da «almeno 10 foto». Un poco più interessanti i compensi per le riprese video, per i quali si arriva a 100 euro proponendo una video intervista con testo scritto e 250 euro per la realizzazione di riprese video. Scrivendo per le testate online del gruppo Riffeser si può aspirare a un massimo di 4,50 euro per articoli e servizi «richiesti e pubblicati» oltre 2.200 caratteri, con un tetto massimo di 50 pezzi al mese. Il rapporto di Iacopino, al momento in cui scriviamo questo articolo, si chiude con la chicca del Messaggero, che non paga i pezzi più brevi di 800 battute.