Negli ultimi anni, Mark Zuckerberg ha passato molto tempo a cercare di difendere la correttezza della condotta dell’azienda che ha contribuito a fondare, Facebook. Tiziano Bonini, su Doppiozero, prova a decostruire alcune delle dichiarazioni di Zuckerberg, per capirne meglio il “discorso ideologico” che nascondono.
C’era una volta e ora non c’è più, una trasmissione radiofonica che andava in onda su Radio Popolare di Milano. Si chiamava La caccia all’ideologico quotidiano, ogni domenica mattina prendeva una dichiarazione di un politico o un editoriale che aveva fatto discutere e la sezionava per farne emergere il discorso ideologico che si annidava in quelle argomentazioni.
Voglio provare a fare lo stesso esperimento con le parole usate ieri da Zuckerberg per celebrare i vicini 15 anni di Facebook e difendersi da varie accuse.
Prima di tutto, il semplice fatto che l’inventore e padrone del più grande mezzo di comunicazione del pianeta senta il bisogno di comprare dello spazio nei giornali di tutto il mondo per difendere il modello di business della propria azienda, è già un sintomo della odierna fragilità della reputazione di Facebook, a 15 anni dalla sua fondazione.
Ma prendiamo alcuni frammenti della sua difesa e proviamo a farne cadere il velo ideologico:
Zuck: «La possibilità di mostrare pubblicità a gruppi mirati esisteva da molto prima di internet ma, oggi, la pubblicità online permette di raggiungere il proprio target in modo più preciso e, quindi, con annunci più rilevanti».
È vero. La segmentazione dell’audience di un mezzo di comunicazione a fini pubblicitari, esisteva da tempo. Almeno dal 1934, quando le stazioni radio commerciali iniziano a suddividere il proprio pubblico di ascoltatori in quattro diverse fasce di reddito, da vendere a prezzi differenti agli investitori pubblicitari. Ma i dati che radio e televisioni, prima dell’arrivo di internet, avevano sul proprio pubblico erano di natura socio-demografica, non post-demografica, come quelli che ha in mano Facebook. Nell’epoca del broadcasting commerciale le audience erano segmentate per età, fasce di reddito, livello di istruzione, luogo di residenza.
L’azienda di Menlo Park ha segmentato i suoi utenti in migliaia di cluster, sotto-insiemi aggregati per stili di vita e di consumo. Secondo quanto scoperto da ProPublica, un giornale investigativo no profit americano, Facebook utilizza algoritmi non solo per determinare le notizie e le pubblicità che visualizza agli utenti, ma anche per categorizzare i suoi utenti in decine di migliaia di gruppi micro-target. Le categorie di Facebook vanno da gruppi innocui di persone che amano il cibo del sud a categorie sensibili come “Affinità etnica” che categorizza le persone in base alla loro affinità con afro-americani, ispanici e altri gruppi etnici. Gli inserzionisti possono indirizzare gli annunci a un gruppo o escludere gli annunci da un gruppo particolare. Facebook non solo raccoglie dati sull’attività online dei suoi utenti, ma compra anche da aziende terze, i data broker, dati sui loro comportamenti offline: il loro reddito, i tipi di ristoranti che frequentano e anche quante carte di credito sono nel loro portafoglio. ProPublica ha scoperto che delle 29.000 categorie che Facebook fornisce a chi acquista annunci pubblicitari sulla sua piattaforma, 600 provenivano da fornitori di dati di terze parti.
Questo cosa significa? Che Facebook, rispetto alle aziende commerciali di comunicazione del passato, possiede un volume di dati sui propri utenti esponenzialmente maggiore. I dati, aggregati assieme e analizzati, forniscono informazione. L’informazione è conoscenza. Maggiore informazione, maggiore conoscenza: non si è mai realizzata, nella storia della comunicazione mediata da aziende commerciali, un’asimmetria di potere tanto evidente, tra i “data-rich”, le aziende come Facebook e i “data-poor”, gli utenti che producono i dati sui quali non hanno alcun controllo.
Forse qualcuno di voi sarà contento di ricevere pubblicità più “rilevanti”, ma per una democrazia non è mai un bene quando un attore accentra così tanto potere su di sé rispetto agli altri. E Zuckerberg oggi possiede un patrimonio di conoscenza su di noi che è enorme e non è mai stato regolato. Questo patrimonio deve essere sottoposto a scrutinio e regolato.
Zuck: «Voglio essere chiaro: noi ci concentriamo sull’aiutare le persone a condividere e a connettersi, perché lo scopo del nostro servizio è quello di consentire a tutti di rimanere in contatto con la famiglia, gli amici e la loro comunità».
Qui Zuck, o il suo dipartimento di marketing, supera se stesso e ingenuamente fornisce un esempio di propaganda in purezza. Lo scopo di Facebook sarebbe quello di «consentire a tutti di rimanere in contatto…», come se fosse un’organizzazione caritatevole. Lo scopo del servizio è far passare più tempo possibile dentro i confini dell’Impero Blu. Più tempo, più dati.
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(Photo by Con Karampelas on Unsplash)