mozambicoDa un po’ di tempo non parliamo delle iniziative di Jacopo Fo, il poliedrico attore, scrittore, fumettista, (ecc.) sempre impegnato a dare luce a nuove idee dalla sua Alcatraz. Ultimamente Fo è coinvolto in un nuovo progetto, “Il teatro fa bene”, che si propone di portare informazione sanitaria in Mozambico attraverso il teatro. Grazie ai fondi di Eni Foundation, l’intenzione è quella di formare attori mozambicani per costruire assieme uno spettacolo teatrale che sia in grado di intrattenere il pubblico africano, e al tempo stesso veicolare messaggi costruttivi per la sua salute. «Parlando con i dottori che lavorano a Palma abbiamo scoperto che l’ostacolo maggiore che si incontra nell’offrire cure è semplicemente la diffidenza verso la medicina occidentale – scrive Fo –. Non si tratta di irrazionalità. Il Mozambico è stato sotto la dominazione portoghese fino al 1975 ed è una giovane repubblica presidenziale che sta costruendo il proprio sistema sanitario. La forte presenza della medicina tradizionale unita alla poca fiducia verso i metodi di cura occidentali rappresentano un grosso ostacolo al dialogo. I medici che agiscono in questa zona hanno da tempo dato vita a una serie di iniziative per superare questa diffidenza, agendo in modo non invasivo, ad esempio aprendo un dialogo intenso con i curandeiros locali per ottenere la loro collaborazione, al fine di far arrivare i malati più gravi alle strutture sanitarie. Questo approccio collaborativo ha dato buoni risultati, ma ancora molto c’è da fare».

Dopo decenni di colonialismo, è normale pensare che ci sia una certa diffidenza verso tutto ciò che arriva “dall’Occidente”. Anche gli aiuti possono essere visti come un modo per ottenere qualcosa in cambio. Più spesso, i danni della cooperazione internazionale riguardano il fatto di non valutare correttamente le conseguenze delle azioni che si avviano. Regalare cibo, per fare un esempio, è sicuramente il modo più immediato per saziare qualcuno che ha fame. Ma se non insegni al contempo a produrre autonomamente il cibo e le attrezzature necessarie per sopravvivere, quella persona (o popolazione) sarà eternamente dipendente dagli aiuti. È un errore che è stato reiterato per molto tempo, prima che ci si rendesse conto dei danni che la cooperazione stava provocando. «Negli anni ’60 le fotografie dei bambini biafrani ridotti a scheletri con pance enormi fecero il giro del mondo e provocarono un’ondata di sdegno a cui seguirono molte iniziative per porre fine a quell’ecatombe – racconta Fo –. Grandi quantità di cibo furono raccolte e distribuite a quelle popolazioni. Un’azione certamente meritoria, che però mandò in rovina un numero enorme di agricoltori: visto che il cibo veniva distribuito gratis nessuno comprava più i loro prodotti. Il numero dei diseredati crebbe a dismisura e di lì a breve furono molte più le bocche da sfamare. Ma contemporaneamente l’ondata emotiva di solidarietà, nei paesi ricchi, si era affievolita: arrivavano meno navi cariche di cibo, mentre c’era più gente che aveva fame. Fu un disastro dentro il disastro.» Come propone Fo nel suo blog, piuttosto che regalare del pesce è molto più utile insegnare a costruire una canna da pesca.

Da qui l’idea di usare il teatro come mezzo per fare informazione, ma senza per questo “insegnare” il teatro come lo intendiamo in Italia, bensì sfruttando il patrimonio di tradizioni e culture già presente in Mozambico, adattandolo all’obiettivo. Anche qui, le difficoltà per Fo e i suoi collaboratori non sono state poche, perché durante i colloqui iniziali i mozambicani tendevano a parlare delle loro forme teatrali più vicine a quelle che conosciamo in Occidente, immaginando che per un europeo la tradizione locale fosse di scarso interesse. Col tempo, sono emerse le informazioni che i promotori del progetto cercavano, con inaspettati punti di contatto con la nostra tradizione teatrale: «Lentamente è emersa la presenza non solo di molti gruppi di attori che producevano loro testi in stile tradizionale ma anche l’esistenza, che sospettavamo, di personaggi e strutture narrative universali: ad esempio il Trickster, una figura comica per molti versi assimilabile al nostro Arlecchino».

Concretamente, il progetto si svolge in una prima fase ad Alcatraz, la tenuta umbra di Fo, dove è arrivata una compagnia di attori mozambicani. «Per 25 giorni, nel corso di 2 diversi stage, un team italiano di attori, videomaker e sceneggiatori collaborerà con gli attori provenienti dal Mozambico – si legge sul blog di Jacopo Fo – fornendo ogni tipo di supporto per preparare al meglio uno spettacolo che, secondo le previsioni, andrà in tournée nei villaggi dell’area di Cabo Delgado, nell’estremo nord del Mozambico, raggiungendo un pubblico di circa 25mila persone. “Il Teatro Fa Bene” ha l’obiettivo di diffondere una migliore conoscenza sui temi della salute, con particolare riguardo alla maternità e alla cura dei neonati in un’area geografica in cui, assieme a Eni Foundation, opera anche la fondazione Medici con l’Africa Cuamm». Se siete curiosi di sapere come andrà a finire, potete andare su questa pagina e seguire passo passo lo svolgersi del progetto.