Di recente sono stati pubblicati i risultati di due ricerche scientifiche: la prima sostiene che il 50 per cento dei farmaci in commercio è inutile, il 20 per cento mal tollerato, il 5 per cento potenzialmente molto pericoloso; la seconda che gli alimenti ogm (organismi geneticamente modificati) sono tossici. Entrambe hanno scatenato un vespaio di polemiche, e come sempre in questi casi spesso la discussione si riduce a un mero referendum, pro o contro l’una o l’altra tesi. Questo perché la maggior parte di chi si confronta con tali notizie -chi le legge, ma soprattutto chi le scrive- spesso non ha la competenza tecnica necessaria a confrontarsi con i dati pubblicati, e tende a dare risalto alle informazioni che in qualche modo confermano le sue convinzioni, o i suoi sospetti, o le sue paure. Ma, consapevoli di tale assunto, una domanda reclama dignità: quanto sono sicuri gli alimenti che mangiamo e i farmaci che assumiamo?
La prima ricerca è stata realizzata da Bernard Debré, deputato Ump (Union pour un mouvement populaire) di Parigi, e Philippe Even, direttore dell’Istituto Necker, e pubblicata su Le nouvel observateur col titolo: “La guida ai 4.000 medicinali utili, inutili o pericolosi”. Lo stesso Even assicura che si tratta di «Un testo d’informazione, non d’opinione». L’anziano decano della facoltà di medicina di Parigi lancia la carica contro l’industria farmaceutica, che egli descrive come «la più lucrativa, la più cinica, la meno etica di tutte le industrie». E ancora: «Questo libro avrebbe dovuto essere scritto almeno trent’anni fa dalle Agenzie di stato incaricate d’informare il cittadino sul valore dei farmaci».
Oltre a essere inutili, tali farmaci sono per il 75 per cento coperti dal sistema sanitario francese, e costano quindi allo Stato tra i 10 e i 15 miliardi all’anno, per recuperare i quali «è sufficiente ritirare dal mercato i farmaci pericolosi, inutili o inefficaci». Facile a dirsi, ma si sa bene quanto sono forti gli interessi che andrebbe a intaccare un’azione del genere. Even punta il dito contro l’incompetenza e la corruzione, visti come fonte di tale perversa dinamica. Lo scienziato si riferisce al caso francese, ma immaginiamo sia un’analisi replicabile su scala globale.
La seconda ricerca, quella sugli ogm, è stata oggetto di critiche metodologiche piuttosto accese. Essa è stata condotta dal professore di biologia molecolare Gilles-Eric Séralini all’Università di Caen, utilizzando dei topi come cavie da laboratorio i quali, dopo alcuni giorni di nutrizione con alimenti ogm, hanno iniziato a sviluppare forme tumorali. Molte voci della comunità scientifica, tra cui lo Science media center britannico, si sono mostrate scettiche, arrivando a rifiutare l’attendibilità dei risultati. David Spiegelhalter, dell’Università di Cambridge, sostiene che «Tutti i confronti sono stati fatti con un gruppo di controllo “non trattato” che comprendeva solo dieci topi per sesso, la maggior parte dei quali ha sviluppato comunque dei tumori. Superficialmente sembra siano andati meglio rispetto al gruppo “trattato” […], ma non ci sono vere statistiche al riguardo, e il numero di cavie è così basso che i dati non arrivano a qualificarsi come prove. Sono riluttante ad accettare questi risultati finché gli esperimenti non saranno correttamente replicati».
Ma al di là del caso isolato di questa ricerca, la domanda che ci ponevamo in apertura resta valida, e sembra risuonare tra le righe di quanto argomenta Fabrizio Fabbri, direttore scientifico della Fondazione diritti genetici: «Il problema non sta nell’essere pro o contro gli Ogm. Il punto critico è che il processo di autorizzazione al commercio, partito dagli Usa e rimbalzato in Europa, è un iter privo delle garanzie minime di sicurezza. Il principio di tutela e precauzione vorrebbe che, in assenza di una garanzia totale di sicurezza, questi prodotti non fossero commercializzati. Si poteva continuare a fare test e verifiche, invece si è coniato un principio politico sulla “sostanziale equivalenza”. Che non ha base scientifica e non ci tutela».