Ogni volta che gli si chiede un intervento per evitare il disastro, non restano che macerie, eppure lo si continua lo stesso a consultare. Stiamo parlando del Fondo monetario internazionale (Fmi), che da anni interviene per concedere prestiti agli Stati in difficoltà economiche o di liquidità, salvo imporre in cambio scelte politiche ben precise, che immancabilmente si rivelano foriere di sventura. In anni recenti, la via maestra suggerita dal Fondo per permettere alle economie di ripartire è stata fondamentalmente una: austerità. Una parola che si accompagna principalmente al verbo tagliare, e che anche in Italia sta riscuotendo grande successo da alcuni governi a questa parte.

Anche in Grecia se ne è parlato molto, ma i risultati non hanno confermato le attese e alla fine l’Fmi ha ammesso di aver sbagliato le previsioni: i danni dell’asuterity hanno superato largamente i benefici ottenuti. Magra consolazione per i tanti greci che in questi mesi si sono visti tagliare il welfare, o hanno perso il lavoro, la casa, il futuro. Davvero tristi le immagini dei giorni scorsi, con gli impiegati della televisione pubblica in lacrime mentre mandavano in onda le ultime trasmissioni delle reti prima della chiusura definitiva. Tra queste, l’ultimo concerto dell’Orchestra sinfonica nazionale, anch’essa “dismessa” dopo 75 anni di attività. Sui volti dei musicisti sgorgavano copiose le lacrime, mentre gli sguardi comunicavano la più viva incertezza per il futuro. È stato il canto del cigno, l’ultimo atto di un’opera che si è rivelata tragica. Con la chiusura della tivù di Stato, 2.600 persone sono rimaste di colpo senza lavoro. Una conseguenza di certo non prevista nella “ricetta” pensata dall’organismo guidato da Christine Lagarde.

Il documento da cui si prende questa informazione cita altri dettagli: «L’intera operazione, è scritto nel documento, “è stata fatta per prendere tempo e consentire all’area euro di costruire le difese necessarie per salvare gli altri paesi che rischiavano di essere travolti dall’effetto contagio della crisi dei debiti sovrani”». Tra questi Paesi, oltre a Irlanda, Portogallo, Cipro e Spagna, c’è anche l’Italia. Siamo sicuri di voler proseguire con questa continua cessione di sovranità? Il problema è che, quando le questioni si fanno troppo tecniche, c’è sempre la tendenza ad affidarsi agli esperti esterni, soprattutto se questi portano con sé gruzzoli non indifferenti di denaro. Secondo Guido Rossi, dal Sole 24 Ore del 9 giugno, «L’idea sbagliata e pericolosa di austerity ha condotto il nostro Paese al disastro attuale, non solo con il ricorso a tecnici di governo, ma soprattutto alla sua propagazione, la quale ha origini addirittura nostrane, come documentato sia da un articolo di Krugman sul penultimo numero della New York Review of Books, sia dal libro di Blyth (Austerity, Oxford 2013), che dedica un paragrafo ai “Bocconi boys” (p. 170), con aspre critiche». Insomma, dopo il mea culpa dell’Fmi, attendiamo smentite, più che conferme, alla teoria che andiamo sostenendo da tempo su ZeroNegativo: non si riparte dall’austerità, ma dal welfare. Ci appoggiamo ancora alle parole di Rossi, che sostiene la stessa cosa: «Ora, tuttavia, che il re è nudo, è forse tempo di comprendere che la soluzione ai nostri problemi non viene tanto dall’austerità, ma da una politica di welfare, in modo tale che banche, imprese e lavoratori riprendano nella crescita le loro corrette funzioni».