Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Franco Basaglia, psichiatra che tra gli anni ‘60 e ‘80 del secolo scorso rivoluzionò la disciplina, facendo dell’Italia un paese all’avanguardia nell’approccio ai disturbi mentali. Un articolo su Doppiozero ne ricostruisce il percorso e l’eredità.
Nella memoria storica di questo paese, Franco Basaglia è l’uomo che ha chiuso i manicomi e liberato i matti. Un enorme balzo in avanti in termini di civiltà, che ha reso l’Italia un modello nel mondo. Quella demolizione del muro tra un dentro e un fuori deve essere concepita sia come l’esito di un percorso che come l’evento di un tempo nuovo: essa fu la cancellazione di un confine, limes – un limite che separava due mondi – capace di aprire il campo a una pratica collettiva, la pratica della frontiera, dove viene superata la contrapposizione tra follia e normalità. “La società, per dirsi civile – disse Basaglia nelle sue Conferenze brasiliane – dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia”. La società può essere civile solo quando si fa ospitale verso la follia: quando non la vive più come un’alterità ostile, ma come una differenza che le appartiene, come ordito di una trama. Dobbiamo far posto a quella parte di sragione che è in ciascuno di noi, ha commentato Pier Aldo Rovatti, rilevando come in questo punto – nel nominare come follia tutto quanto non rientra “nei binari” della razionalità – Basaglia incrociasse Foucault.
Quel percorso che ha nutrito la de-segregazione dei matti, e che avrebbe dovuto dare il senso di una psichiatria a venire, una psichiatria che si sottraesse al suo mandato di controllo sociale, si può forse sintetizzare in due concetti: la restituzione della soggettività al malato mentale; una idea di cura che non possa prescindere da una pratica di relazioni trasformative sul territorio (ciò che ha preso il nome di “psichiatria territoriale”).
Che cos’è la psichiatria? Si chiedeva un libro collettaneo curato da Basaglia. La risposta era che la psichiatria era una pratica che reificava i soggetti, una sedicente scienza che tutto sa, tutto nomina e definisce, una scienza che trae dalla medicina il modello eziogenesi-diagnosi-prognosi, ma che si deve inventare il proprio oggetto, visto che la mente non è un organo come il cuore. L’idea al cuore della rivoluzione di Basaglia era vedere il malato e non la malattia: aver cura della persona in quanto soggetto concreto, portatore di affetti e di diritti, inserito in una rete sociale. È di questa soggettività realmente esistente, di questa istanza concreta, che il medico deve prendersi cura, ponendosi in relazione con essa: uscire dallo sguardo oggettivante, che fa del soggetto un oggetto, un mero organo da curare dopo averlo diagnosticizzato in quanto malato. Riabilitare il soggetto debole prendendosi cura di lui e della rete di relazioni in cui è inserito, non sradicarlo e segregarlo. Pensare a una comunità che cura, a una comunità come luogo di ascolto, accoglimento e possibile reinserimento. I servizi psichiatrici che Basaglia immaginava, e che egli stesso sperimentò, avrebbero dovuto essere organizzati a partire da questa idea.
Continua a leggere su Doppiozero
(Di Harald Bischoff – Opera propria, CC BY-SA 3.0)
Ricordati di farlo
Lo sai che puoi destinare il 5 per mille dell’IRPEF all’Avis di Legnano? Basta inserire il nostro codice fiscale al momento della dichiarazione. Useremo i proventi per fare ancora meglio ciò che facciamo da sempre.