A partire dallo scorso dicembre, nella borsa statunitense si possono scambiare contratti futures sul prezzo dell’acqua. Si tratta in sostanza di dare agli operatori finanziari la possibilità di scommettere sul suo prezzo futuro. Per alcuni è un modo per proteggere gli agricoltori da possibili sbalzi di prezzo delle risorse idriche. Per altri l’inizio di una pericolosa speculazione.

Ci pensa Alex Zanotelli – uno che sa bene cosa comportano la privatizzazione e la scarsità di acqua, data la sua esperienza nei paesi in via di sviluppo – a ricordarci quali sono i rischi: «Secondo l’Onu già oggi un miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile e dai tre ai quattro miliardi ne dispongono in quantità insufficiente. Per questo già oggi ben otto milioni all’anno di esseri umani muoiono per malattie legate alla carenza di questo bene così prezioso. Non dimentichiamoci che di tutta l’acqua che c’è sul pianeta, solo il 3 per cento è potabile e di questo un terzo è direttamente utilizzabile dall’uomo per bere. Il resto è usato dall’agribusiness e dall’industria. E le previsioni per il 2025 sono drammatiche: due terzi della popolazione mondiale affronterà scarsità d’acqua grazie a temperature sempre più infuocate, a scioglimento dei ghiacciai, a deforestazione… E avremo così sempre meno acqua potabile e a pagarne le conseguenze saranno milioni e milioni di impoveriti».

L’acqua, come molte altre risorse strategiche e fondamentali, è anche uno dei temi al centro del Pnrr (Piano nazionale di ricostruzione e resilienza). Già a dicembre padre Zanotelli esprimeva le sue perplessità in merito: «Davanti a questa criminale decisione di “quotare” l’acqua in borsa, mi appello al governo perché si affretti a ripubblicizzare l’acqua. Ne basterebbero due miliardi da trarre dal Recovery Fund. Invece il governo ha destinato 2,5 miliardi per infrastrutture idriche di adduzione per le reti territoriali. Il Sole 24 Ore afferma che questa è la “leva per portare le gestioni idriche industriali nel Meridione”. In poche parole i grandi colossi idrici del centro-nord (Iren, A2A, Hera, Acea) gestirebbero le reti idriche del Sud, con i soldi del Recovery Fund. Altro tradimento! Ma i soldi del Recovery Fund dovrebbero essere usati anche per riparare i 300mila km di reti idriche che perdono il 50 per cento dell’acqua».

L’analisi di Zanotelli non si discosta molto dal parere espresso da diversi economisti su Lavoce.info. Il Pnrr prevede 4,38 miliardi di euro di investimenti al fine di “Garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e la gestione sostenibile delle risorse idriche lungo l’intero ciclo”. Di questi, 2 miliardi di euro serviranno per le infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento (dighe, laghi artificiali, collegamenti tra acquedotti e così via), 0,88 miliardi di euro per l’utilizzo di acqua in agricoltura, 0,9 miliardi di euro per gli acquedotti e la digitalizzazione delle reti, 0,6 miliardi di euro per fognature e depuratori (i dati sono presi direttamente dal Pnrr, essendoci state delle variazioni – non particolarmente significative – rispetto all’articolo pubblicato da Lavoce.info). Questi gli investimenti, mentre a proposito delle riforme, esse riguarderanno «la semplificazione, il rafforzamento delle istituzioni pubbliche che si occupano di acqua e opere idriche, l’apporto di tecnici e competenze per la progettazione e l’esecuzione delle opere, una “spinta gentile” per consentire che operatori industriali subentrino ai comuni nei territori dove ancora questi ultimi si oppongono, anche perché senza operatori manca poi chi deve realizzare le fognature, i depuratori e gli acquedotti e quindi farli funzionare».

La lettura complessiva del Piano da parte degli autori è piuttosto netta. «Il Pnrr riconosce le carenze e i colli di bottiglia presenti nella macchina amministrativa ed esecutiva, dalla pianificazione alla attuazione dagli interventi sulle infrastrutture idriche, così come le difficoltà nella realizzazione degli interventi di fognatura e dei depuratori mancanti, che già ci costano centinaia di milioni di euro all’anno di sanzioni per il mancato rispetto delle direttive Ue dei primi anni Novanta. La ricognizione di Arera, a partire dalle indicazioni di regioni e comuni, indica un fabbisogno già esistente di 10 miliardi di euro per progetti e interventi finalizzati alla riduzione delle perdite idriche, garantire la continuità della fornitura e migliorare la qualità dell’acqua destinata al consumo umano. Si tratta solo di una parte delle opere necessarie e non contempla i fabbisogni legati al cambiamento del clima, ai nuovi inquinanti e alla pressione dell’uomo sull’ambiente. Visti da questa prospettiva, i 4 miliardi di euro stanziati dal Pnrr sono ampiamente insufficienti».

(Foto di Nicolas COMTE su Unsplash )

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