Di conflitto siriano e Isis (o Stato islamico) sentiamo parlare più o meno ogni giorno da qualche anno, ma in pochi sarebbero in grado di spiegare a qualcuno in maniera semplice cosa sta accadendo in quell’area del mondo. Ed è noto che, se non sai spiegare una cosa, vuol dire che non l’hai capita. Ecco perché è utile e importante supportare il progetto di crowdfunding di Gabriele Del Grande, che vuole realizzare un libro su questi temi finanziandosi solo grazie a “editori dal basso” che contribuiscano tramite l’apposita piattaforma. Il libro si intitolerà Un partigiano mi disse, e sulla pagina di presentazione del progetto viene sintetizzato così: «La guerra in Siria e la nascita dell’ISIS raccontate attraverso l’epica della gente comune in un intreccio di geopolitica e storytelling».

L’idea, come spiegato anche nel booktrailer pubblicato su Youtube qualche giorno fa, è quella di affrontare questi temi inserendo nella narrazione le storie della gente comune. L’ambizione è dunque quella di far capire le questioni politiche, militari e diplomatiche senza tralasciare quelli che meno vengono raccontati (se non quando cercano rifugio in Europa) nella descrizione delle guerre, ossia le persone che (nonostante tutto) vivono in Siria e si vedono la Storia scorrergli addosso. Del Grande ha già raccolto tanto materiale, perché in Siria c’è stato da freelance e ha già pubblicato vari reportage. Ora però ha deciso di tornarci per sei mesi, raccogliere altre storie, per poi tornare e scriverci su un libro che, nei piani, sarà pronto a novembre dell’anno prossimo. Ecco perché ha bisogno di soldi, 38mila euro, che nessun editore italiano sembra essere disposto a dargli per realizzare il suo progetto (la notorietà acquisita dopo la presentazione a Venezia del documentario Io sto con la sposa, l’anno scorso, non è bastata).

Del Grande è consapevole di avere tutti i numeri per raccontare con competenza e completezza questa storia, e spiega anche perché: «Perché sono stato cinque volte in Siria dall’inizio della guerra, parlo correntemente arabo, seguo quotidianamente gli sviluppi del conflitto, ho alle spalle dieci anni di inchieste nel Mediterraneo, un blog citato sulla stampa di tutto il mondo, tre libri e un film che fa ancora parlare di sé. In un paese normale il mio curriculum basterebbe a farmi commissionare questo lavoro da un giornale o da un grande editore. Ma l’Italia non è un paese normale. Per un periodo ho creduto che la visibilità internazionale che mi ha dato il film avrebbe cambiato le cose. Non è andata così. E non mi sembra un buon motivo per mollare. Al contrario». Così il giornalista e scrittore ha deciso di ricorrere al supporto dei suoi lettori, attraverso la pagina di cui forniamo nuovamente il link.

Il partigiano del titolo è un uomo conosciuto ad Aleppo durante la trasferta siriana di tre anni fa. Un uomo che cercava di battersi per lasciare un mondo migliore al figlio, ma che poi tradiva il suo pessimismo con uno sfogo profetico sulla vanità dei propri sforzi: «La verità, Gabriele, è che morirò invano. Perché mio figlio mi tradirà! Sarà solo a piangere sulla mia tomba e per vendicare il mio sangue e il sangue di mezzo milione di morti di questa guerra maledetta, verrà a seminare la morte in Europa. E quando si farà esplodere in un aeroporto e ucciderà i tuoi figli, tu non potrai biasimarlo perché siete rimasti indifferenti per anni mentre qua massacravano noi».

Pensare a questa frase pronunciata nel 2013, alla luce di quanto accaduto nei mesi scorsi in vari Paesi europei (e non solo) mette i brividi ma, superato lo sconcerto, dovrebbe contribuire a generare interesse verso la complessità di questo scontro, e verso la necessità di capire in che modo la vita di un “partigiano” di Aleppo si intreccia con i controlli maniacali che oggi subiamo ogni volta che saliamo su un aereo. «Facile parlare di scontro di civiltà e dagli all’islamico – si legge sulla pagina Facebook di Fortress Europe –. Poi però c’è la storia con cui fare i conti. Vent’anni di guerre, un milione di morti, decine di milioni di profughi e tante domande senza risposte. Quanti miliardi spese la CIA negli anni Ottanta per armare i mujahidin afgani contro i russi? Quanto era forte il legame tra la corona saudita e Bin Laden in quegli anni? E cessò davvero con la prima Guerra del Golfo, l’arrivo delle truppe americane nel Regno, l’espulsione di Osama, gli attentati a Dhahran, Nairobi, Dar Es Salaam e infine le torri gemelle?».

Un partigiano mi disse non è ancora un libro, ma speriamo lo diventerà, perché c’è un disperato bisogno di qualcuno che vada a scoprire come stanno le cose e torni per spiegarcelo, invece di venderci tesi preconfezionate utili solo ad alimentare le chiacchiere al bar.