Per l’ennesima volta, con l’arrivo di piogge violente e impreviste, una città è stata ferita, la sua tranquillità violata dall’irruenza dell’acqua e del fango. Il disastro di Genova, l’ennesimo, non è però da attribuire al caso o alla fatalità. Da anni su ZeroNegativo pubblichiamo articoli in cui denunciamo le colpe della politica e della burocrazia nel rimandare interventi necessari alla messa in sicurezza del territorio nazionale, ma puntualmente il copione si ripete. Le storie dei lavori di costruzione dello scolmatore del fiume Fereggiano e di allargamento delle volte sotterranee del Bisagno sono due casi esemplari di questa dinamica. Ne scriveva il 12 ottobre Marco Imarisio sul Corriere, spiegando come l’apertura del cantiere del primo progetto risalga addirittura alla fine degli anni ’80 del Novecento.
Si trattava di costruire sei chilometri di canale per deviare le acque del fiume nel caso l’acqua fosse salita oltre un certo livello. Nel 1991 il primo chilometro era pronto, poi arrivò Tangentopoli: «Finiscono in manette due assessori socialisti della giunta a forma di pentapartito guidata da Cesare Campart. L’accusa è di corruzione per l’appalto dello scolmatore. Verranno assolti entrambi, nel 2001». Mentre la vicenda giudiziaria si svolgeva il cantiere chiudeva, mentre gli amministratori degli enti territoriali si occupavano di risarcire le ditte vincitrici dell’appalto, pagandole 9 miliardi di lire per non eseguire i lavori. Un danno economico che si è trascinato fino al 2013, quando a giugno è stata pagata l’ultima rata di 624mila euro. «Il defunto scolmatore del Fereggiano è stato sostituito con un nuovo progetto – scrive Imarisio –. Approvato lo scorso 27 marzo, sposta la galleria principale di qualche centinaio di metri e lo porta sotto il livello del mare. I termini per la presentazione delle offerte sono scaduti venerdì, proprio il giorno dopo la nuova alluvione».
La vicenda del Bisagno è più recente, inizia nel 1998 ed è divisa in due fasi. La prima si conclude con successo, sebbene al costo di 70 milioni di euro, 20 in più di quanto previsto. La seconda, un appalto da 35 milioni di euro, assegnato a marzo del 2012, non comincerà mai, per una lunga lotta giudiziaria a colpi di ricorsi da parte della aziende risultate non vincitrici. Queste fanno ricorso al Tar della Liguria per presunte irregolarità nel progetto. Il Tar accoglie il ricorso, ma l’azienda vincitrice dell’appalto (Ati) si appella al Consiglio di Stato, sostenendo che la competenza del caso spetti al Tar del Lazio. Il Consiglio di Stato accoglie il ricorso. La sentenza del Tar del Lazio arriva l’estate scorsa, il 14 luglio: il ricorso di Ati viene accolto, i lavori possono cominciare. Anzi no, perché una delle ditte sconfitte si appella al commissario delegato, il presidente della Liguria Claudio Burlando, sostenendo che si debbano attendere le motivazioni del tribunale prima di fare qualsiasi cosa. In mezzo a questa vicenda ci sono due esondazioni del fiume, una del 2011 e una di pochi giorni fa.
Purtroppo la faccenda non si risolve con provvedimenti come lo “Sblocca Italia”, perché in questo caso il problema non è la mancanza di fondi, ma il fatto di non riuscire a impiegarli, perché il meccanismo burocratico di appelli e ricorsi va oltre l’evidente emergenza della situazione. «Il tratto terminale del torrente Bisagno, che sottende un’area fortemente antropizzata nella quale gravitano oltre 100.000 persone, e in cui sono presenti una serie di strutture e infrastrutture di valore strategico e logistico per l’intero assetto urbanistico della città», dice un rapporto della Regione al governo (lo riporta Gian Antonio Stella in un articolo sul Corriere), «presenta condizioni di elevatissima criticità idraulica dovute alla grave insufficienza al deflusso dell’alveo attuale e in particolare del tratto terminale coperto». Non basta: «Detta area rappresenta inoltre un nodo infrastrutturale particolarmente complesso, dal momento che vi si concentrano flussi di traffico – sia viabilistico sia ferroviario – già notevoli e ulteriormente destinati ad aumentare». Intanto contiamo i danni e incrociamo le dita guardando le previsioni del tempo.