È un momento difficile quello che stanno vivendo molte realtà associative in Italia che si muovono in bilico tra la concessione di spazi sulla base di convenzioni o contratti agevolati. Il caso che ha attratto maggiormente l’attenzione su di sé è quello della Casa internazionale delle donne di Roma, che rischia di dover lasciare la sua sede storica. Ma non è l’unico caso visto che sono centinaia, sparse in tutto il Paese, le situazioni non chiare. Va detto che, per quanto le occupazioni siano un atto che va oltre la legalità, spesso sono state il pretesto per ridare nuova vita a edifici abbandonati da anni da parte dei proprietari (privati cittadini, aziende o enti statali). Spesso, a seguito di un’occupazione, si è arrivati a sanare la situazione con la stipula di un contratto di affitto, o con la concessione di una diversa sede.

Ogni caso è diverso dall’altro, e se il Comune ravvisa un valore sociale in ciò che viene fatto all’interno dell’edificio occupato, ci sono gli strumenti normativi per sanare una situazione di illegalità, riportandola nell’alveo della legalità. Il colore politico dell’amministrazione non è sempre un fattore determinante nella gestione di queste situazioni. Come ha spiegato Francesca Koch, presidente della Casa delle donne, «La giunta Alemanno ha riconosciuto il nostro valore sociale e ci ha prolungato la convenzione di sei anni, prevedendo anche un piano di rateizzazione del debito. Anche dalla giunta Marino abbiamo ricevuto grande attenzione, perché questa era una realtà che veniva riconosciuta dal comune come una propria risorsa e un proprio progetto. Ora il comune ci chiede di nuovo un arretrato di 800mila euro. Abbiamo avanzato diverse proposte e stiamo aspettando di sapere cosa ne pensi l’amministrazione». L’attuale amministrazione insiste affinché quello dei bandi sia lo strumento principale per l’assegnazione di spazi in relazione a progetti specifici, il che è pienamente legittimo. Questa linea penalizza però alcune realtà che si sono strutturate seguendo altri percorsi. «Sindaca e amministrazione comunale hanno, ovviamente, tutta la libertà di fare progetti per le donne ma non come Casa internazionale delle donne – ha detto il direttivo delle attiviste –. Quello della Casa internazionale è il progetto dei movimenti femminili e femministi, lo è da quaranta anni e tale deve restare. La nostra autonomia e la nostra storia non sono oggetto di discussione. La nostra è una esperienza di gestione di un bene pubblico affidata a realtà associative».

Parallelamente, dalla politica arriva l’impegno a garantire che molte associazioni non perdano l’uso dei propri spazi. «La notizia è dell’11 maggio scorso – si legge su Retisolidali –: il vicesindaco di Roma Luca Bergamo si è impegnato a bloccare 113 sgomberi di altrettante sedi di associazioni, asili e spazi sociali destinati a varie attività, che hanno la loro sede in immobili di proprietà del Comune stesso». Lo strumento che permette di evitare il binomio obbligato sgombero-bando è contenuta nel nuovo codice del terzo settore, che all’articolo 71 prevede che «Lo Stato, le Regioni e Province autonome e gli Enti locali possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, agli enti del Terzo settore, ad eccezione delle imprese sociali, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali».

Casi simili a quello di Roma (anche se con una storia meno lunga alle spalle) si stanno verificando anche a Bologna. «È il caso di Oz – spiega Redattore Sociale –, il parco multisportivo e culturale alla prima periferia di Bologna che rischia di essere sgomberato. Il motivo? L’ex officina Samputensili di via Stalingrado, poco fuori porta, utilizzata dall’associazione Eden (che coordina le attività di Oz) in comodato gratuito, è stata acquistata all’asta per 3,1 milioni di euro da una società controllata del Gruppo Unipol che ha chiesto a Oz di lasciare la struttura entro il 31 maggio. Gli associati di Oz hanno dai 4 ai 64 anni, nell’ultimo anno sono arrivati a 6 mila, di cui 3.400 per attività sportive, artistiche e di danza (parkour, arti circensi, mountain bike, break dance, pilates, yoga), gli altri per attività culturali (museo del flipper, laboratori di arti visive, assistenza alla produzione musicale, teatro). Da un momento all’altro potrebbero rimanere senza strutture per allenarsi e senza spazi di condivisione. Senza contare le 260 persone che perderebbero il lavoro. Ora Oz chiede almeno il tempo per trovare un altro spazio adatto ad accoglierlo: “Se mettiamo tutto in un magazzino, la città ci dimenticherà”».

(Foto di Dean Hochman su flickr)