Nei periodi in cui prevale l’incertezza per il futuro, come quello che stiamo vivendo, spesso si presentano delle sensazioni difficili da gestire. Una di queste è la paura che a un certo punto non siano più disponibili certi prodotti, che come reazione spinge molte persone a “saccheggiare” i supermercati. Lo si è visto per esempio durante la prima fase della pandemia, quando nei supermercati hanno cominciato a scarseggiare prodotti come la pasta: non perché ci fosse una reale carenza di merce, ma perché nel dubbio molte persone hanno reagito all’incertezza creandosi delle piccole scorte.

Abbiamo parlato di paura ma, in realtà, in molti casi si dovrebbe parlare di ansia, come spiega su Le Monde la psicanalista Claude Halmos: «Si può parlare di paura quando il pericolo temuto è reale (“Un ladro è entrato in casa mia, ho paura”) e di ansia quando è immaginario (“Non so perché, ma ho sempre paura che un ladro possa entrare in casa mia”). Questa distinzione, essenziale per la cura psicologica, è importante anche in questo momento, perché la prospettiva di una carenza provoca sia paura che ansia».

Il consumatore che si precipita al supermercato, spiega Halmos, è spinto dal timore – legittimo – che un determinato prodotto possa esaurirsi e dalle conseguenze che questo avrebbe per sé e per la sua famiglia. Ma è anche spinto, spesso inconsciamente, dall’ansia che l’idea di non avere quel prodotto crea in lui o lei. Per questo motivo, si rifornisce di prodotti in eccesso per riempire in anticipo un doppio vuoto, reale e immaginario. Paura e ansia, combinate, spingono la persona ad agire in modi molto diversi. L’ansia da mancanza non ha nulla a che vedere con la realtà e le ragioni che la alimentano in alcune persone sono essenzialmente legate al modo in cui la nozione di mancanza si situa nella loro storia personale. Questo spiega sia lo squilibrio tra l’entità delle scorte accumulate e le loro reali necessità, sia il fatto che tali scorte possano riguardare anche prodotti di importanza secondaria.

L’ansia può derivare innanzitutto dalla gravità della situazione, scrive Halmos. Per la natura del prodotto o perché si aggiunge ad altre ansie, la prospettiva di una carenza può fare sorgere nella mente di chi la vive l’ipotesi di una mancanza totale.

Inoltre, per alcune persone, questa posizione di impotenza può fare riaffiorare, almeno inconsciamente, il ricordo delle privazioni subite dalle generazioni precedenti durante periodi difficili (come guerre o difficoltà economiche). Ma anche quando questa memoria familiare è assente, ci si ritrova comunque nella posizione del bambino non autosufficiente, la cui sopravvivenza dipende esclusivamente dagli altri.

Esistono poi due tipi di carenze: quelle che colpiscono tutti perché sono causate dall’effettiva mancanza di un prodotto, e quelle esperite solo da coloro che non possono permettersi il prodotto, anche quando è disponibile.

Le prime possono far sentire meno liberi, più insicuri e privati della possibilità di realizzare i propri desideri e piaceri. Ma quando la carenza è dovuta alla mancanza di denaro (come chi vive in condizioni di insicurezza alimentare), la sofferenza si amplifica ulteriormente, perché il prodotto rimarrà fuori dalla portata anche quando tornerà disponibile. E soprattutto, il terrore della mancanza totale, che provoca la massima ansia, non è solo uno spettro per queste persone, che vivono costantemente sotto la minaccia reale della mancanza totale.

Le difficoltà quotidiane, come la scarsità e l’aumento dei prezzi, ci “logorano” e possono turbarci più di quanto immaginiamo, anche quando non ci mettono in difficoltà reali.

«È importante capire – conclude Halmos – che provare queste emozioni non è un segno di debolezza, che non c’è motivo di vergognarsene o di nasconderlo, e che se ne può parlare. Se da bambini eravamo soli e impotenti di fronte alla vita e alle difficoltà, da adulti non lo siamo più. Ci sono altre persone con cui possiamo condividere queste difficoltà e pensare a come agire (riducendo i consumi, per esempio). Ci sono altre persone là fuori, con le quali e grazie alle quali possiamo imparare a resistere».

(Foto di Boris Dunand su Unsplash)

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