Ieri era l’anniversario della morte di un grande scrittore di libri per bambini, Gianni Rodari. Vanessa Roghi ne ha pubblicato un ritratto sul blog minima&moralia, di cui riportiamo un estratto.

Il 14 aprile 1980 moriva Gianni Rodari, aveva appena 60 anni. Era entrato in ospedale per un’operazione facile all’apparenza. Poco tempo prima aveva scritto a Carlo Carena, collaboratore dell’Einaudi: «Caro Carena, oggi ho accompagnato mia moglie in clinica per un’operazione — quando uscirà lei dovrò entrarci io, per colpa di un’arteria occlusa — vede che non ho lo spirito adatto per rifare la prefazione alle “Favole al telefono”. La programmerò per l’edizione tredicesima, anche se doveste interrogarmi con i tavolini».

La sua biografia attraversa il novecento, nato nel 1920, è un giovane diligente negli anni del fascismo. Vive con la madre vedova perché il padre, fornaio, muore quando lui è bambino per salvare un gatto durante un temporale.  Il pane e i gatti torneranno in moltissime sue storie.

Scrive nella Grammatica della fantasia: «Sono figlio d’un fornaio. Prestino e commestibili. La parola “forno” vuol dire, per me, uno stanzone ingombro di sacchi, con un’impastatrice meccanica sulla sinistra, e di fronte le mattonelle bianche del forno, la sua bocca che si apre e chiude, mio padre che impasta, modella, inforna, sforna. Per me e per mio fratello, che ne eravamo ghiotti, egli curava ogni giorno in special modo una dozzina di panini di semola doppio zero, che dovevano essere molto abbrustoliti. L’ultima immagine che conservo di mio padre è quella di un uomo che tenta invano di scaldarsi la schiena contro il suo forno. È fradicio e trema. È uscito sotto il temporale per aiutare un gattino rimasto isolato tra le pozzanghere. Morirà dopo sette giorni, di broncopolmonite. A quei tempi non c’era la penicillina. So di essere stato accompagnato a vederlo più tardi, morto, sul suo letto, con le mani in croce. Ricordo le mani ma non il volto. E anche dell’uomo che si scalda contro le mattonelle tiepide non ricordo il volto, ma le braccia: si abbruciacchiava i peli con un giornale acceso, perché non finissero nella pasta del pane. Il giornale era La gazzetta del popolo. Questo lo so di preciso, perché aveva una pagina per i bambini. Era il 1929. La parola “forno” ha pescato nella mia memoria e ne è risalita con un colore affettuoso e triste».

Durante la guerra si avvicina al movimento comunista, dirige a Varese il periodico del PCI Ordine nuovo. Poi passerà a scrivere sull’Unità dove, essendo stato maestro, gli saranno affidate alcune rubriche per l’infanzia.

«Ed ecco che un giorno il direttore del Quotidiano (L’Unità) decide di dedicare una pagina domenicale ai bambini. Chiesero a me di fare questo angolo per i bambini. Ero il solo ad aver fatto, anni addietro, il maestro di scuola e questo era l’unico titolo che suggeriva questa scelta. Avevo anche una certa predisposizione per i pezzi brillanti di fantasia o di umorismo. Cominciai così a pubblicare settimanalmente filastrocche e raccontini per i quali ritrovavo il mio gusto giovanile dei surrealisti francesi letti da studente in biblioteca. Quasi subito incominciarono ad arrivare lettere di bambini che chiedevano filastrocche per il padre tramviere, per il padre vigile urbano, per il padre impiegato e così via. Le filastrocche nascevano, per così dire, dalla mano sinistra, ma mi divertiva inventarle tenendo conto delle due condizioni di cui non potevo non avvertire il significato: la prima che l’angolo per i bambini non appariva in un giornale per bambini ma in un quotidiano nazionale assai impegnato e socialmente vicino alle classi popolari; la seconda che l’angolo diventava sempre più un dialogo in diretta con i bambini».

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(Foto da Wikipedia)