Uno studio di alcuni ricercatori italiani ha dimostrato che a contribuire maggiormente all’impressionante quantità di denaro che ogni anno finisce nel gioco d’azzardo sono soprattutto le fasce più deboli della popolazione: quelle con un reddito e un’istruzione più bassi e che vivono in zone più difficili del Paese.
La diffusione del problema
Come spiegano gli stessi autori su Lavoce.info, «Secondo gli ultimi dati dell’Agenza delle dogane e dei monopoli, nel 2018 in Italia si sono giocati 106,7 miliardi di euro (Adm, 2019). Una cifra quasi assimilabile al fondo sanitario nazionale per il 2018 (che vale circa 113 miliardi) è stata investita nel gioco d’azzardo. Tra il 2000 e il 2018 si è passati da una raccolta di 19 miliardi di euro a quasi 107». Un aumento esponenziale, favorito senza dubbio dalla progressiva liberalizzazione del settore avvenuta dal 2002 in avanti. Parallelamente sono aumentati anche i giocatori “problematici”, ossia quelli che perdono il controllo rispetto alla qualità e alla frequenza con cui giocano, mettendo a rischio la propria sicurezza e quello del loro nucleo familiare. «Sulla base del Canadian Problem Gambling Index (Cpgi), la prevalenza di giocatori problematici nella popolazione italiana (15-64 anni) stimata dallo studio Ipsad (Italian Population Survey on Alcohol and other Drugs) dell’Istituto di fisiologia clinica del Cnr, è salita da 0,33 per cento nel 2007 a 1,04 per cento nel 2017 (Ifc-Cnr, 2018). Nel 2017, l’emergere della problematica ha spinto il governo a includere la cura e la riabilitazione dei soggetti affetti da ludopatia nei Lea (livelli essenziali di assistenza) in seguito alla legge n. 189 del 2012».
I nuovi giochi
Attualmente sono tre le categorie di giochi individuate, ossia «giochi tradizionali (lotterie, Lotto, giochi numerici a totalizzatore e Bingo), scommesse (gioco a base sportiva, gioco a base ippica, scommesse virtuali) e giochi di nuova generazione (Awp-amusement with prizes, Vlt, giochi di carte e di abilità a distanza e giochi di sorte a quota fissa, betting exchange)». Questi ultimi sono anche quelli che attirano le maggiori quote di giocatori problematici. Ebbene lo studio dei ricercatori ha dimostrato che i giochi tradizionali «sono più praticati da persone a reddito più alto, mentre le scommesse sportive e i giochi di nuova generazione sono più diffusi tra quelle a reddito più basso. Dunque, l’aumento della raccolta, derivato in gran parte proprio dai nuovi giochi e dalle scommesse, lo stanno pagando i soggetti più svantaggiati. E dal momento che le scommesse e i giochi di nuova generazione sono anche quelli più fortemente associati a comportamenti di gioco problematico, possiamo ragionevolmente ipotizzare che i crescenti costi sociali dei disturbi del gioco d’azzardo in Italia ricadano di più proprio sul segmento più vulnerabile della nostra società». È molto importante che la politica assuma politiche responsabili in questo settore, con programmi di prevenzione articolati ed efficaci, ma soprattutto con misure disincentivanti serie. Attualmente infatti si discute di una rimodulazione della tassazione omogenea per tutte le tipologie di gioco e comunque si interviene solo sui premi. In questo modo si lascia al giocatore l’illusione di un alto payout (la quota di giocate che rientra nelle sue tasche), fallendo nell’intento di ridurre la propensione al gioco ripetuto e fuori controllo.