Secondo gli ultimi dati Audipress (settembre), citati da Key4biz e RadioArticolo1, il mondo dell’informazione non sta vivendo un bel momento in Italia. Secondo il primo, «saltano subito agli occhi le perdite in percentuale del Corriere della Sera per le vendite (-2 per cento) e la diffusione (-2,2 per cento), per le stesse categorie anche de La Repubblica (-3,8 per cento le vendite e -3,6 per cento la diffusione), Il Messaggero (-5 per cento le vendite, -4,8 per cento la diffusione), La Stampa (-3,7 per cento le vendite, -2,7 per cento la diffusione), Il Secolo XIX (-5,4 per cento le vendite, -4,7 per cento la diffusione), Il Giornale (-2,3 per cento in entrambe le categorie), stabili Il Sole 24 Ore e La Nazione, invece, con poche o scarse differenze rispetto alla precedente rilevazione».

Non va meglio ai quotidiani sportivi, che nel nostro Paese rappresentano tradizionalmente un’anomala isola felice delle vendite: «Salasso del Corriere dello Sport Stadio (-13 per cento in tutte e due le categorie) e della Gazzetta dello Sport (-14 per cento in entrambe le categorie)». Il dato complessivo dei lettori scende notevolmente, visto che rispetto alla rilevazione precedente (maggio) il calo si attesta attorno al 4 per cento, per un totale di circa 23,7 milioni di persone. Aumentano invece i lettori di quotidiani online che, secondo Audipress, sono quasi 3,4 milioni. Altro dato preoccupante, ma ormai strutturale del nostro Paese, è la prevalenza della televisione come canale privilegiato (o unico) di informazione. Secondo RadioArticolo1 «Oltre l’80 per cento degli italiani dichiara di informarsi prevalentemente attraverso i telegiornali, e quasi il 30 per cento di informarsi “solo ed esclusivamente” con i tg». Dati che da sempre sono stati alla base della diffusa disinformazione ormai congenita nella nostra popolazione, e che possiamo ipotizzare abbiano alimentato l’esposizione a discorsi e personaggi di carattere schiettamente populista, da qualsiasi terreno politico e culturale (i “guru” di cui parla anche Goffredo Fofi, ci torneremo).

Una riflessione da fare, tra le tante possibili, è sull’offerta editoriale che ci troviamo a disposizione. Indicativo che a tenere siano stati due quotidiani molto particolari. L’uno (il Sole) di carattere prettamente economico, con numerosi articoli di approfondimento talvolta molto tecnici, per quanto corredato da una copertura della cronaca completa e dallo stile sobrio -quasi british– e da una redazione culturale tra le più interessanti. L’altro (La Nazione) dall’approccio decisamente più popular e alimentato da una rete di inserti locali relativi all’area di diffusione (Toscana, Umbria, provincia di La Spezia). Giù tutti gli altri. Il periodo è davvero grigio per la stampa di sinistra, con il Manifesto in liquidazione coatta, Pubblico a rischio chiusura dopo soli tre mesi di vita, e si potrebbe continuare.

Ma sono le crisi dei grandi quotidiani generalisti a colpire. Forse troppo intenti a difendere i propri interessi e impantanati in questioni di endorsement (ossia appoggio) di questo o quel personaggio politico, schieramento, linea di pensiero. Troppe pagine di approfondimento su quanto accaduto “ieri pomeriggio”, sulla grande notizia di cui non si sa ancora nulla (vedi: il futuro politico di Monti), o abbastanza (vedi: le numerose imprecisioni e smentite sulla strage di Newtown). Troppa distanza da ciò che accade lontano dai riflettori, che ci riguarda oggi e cambierà il nostro domani. Manca uno sguardo d’insieme verso l’Unione europea, verso i rapporti che abbiamo con gli altri continenti. Economici, culturali, militari. Un mondo troppo complesso e affascinante per perdersi ogni giorno in pagine e pagine di chiacchiere.