Se i migliori giornalisti italiani in circolazione vanno in cerca di fortuna all’estero, o ripiegano su altre attività legate al mondo della comunicazione, che fine fa la qualità del giornalismo in Italia? Una riflessione piuttosto allarmata sulla situazione, dall’ultima newsletter di DataMediaHub.

Il giornalismo nel nostro Paese […] appare sempre più rinchiuso su se stesso, e se le direzioni del personale dei quotidiani non fossero quel che sono in realtà: un ufficio paghe e contributi e poco più, dovrebbero fare un’analisi di clima per toccare con mano l’atmosfera, pessima, che si respira nelle redazioni di mezza Italia. Diceva Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Ebbene, i tre indizi ci sono e la prova anche.

Lo riassume bene Massimo Mantellini quando scrive che «Dopo Fabio Chiusi, che ha annunciato qualche tempo fa di aver abbandonato l’attività giornalistica per andare a fare l’assistente parlamentare, ieri Carola Frediani, senza ombra di dubbi la più talentuosa ed esperta giornalista italiana sui temi dell’hacking e della sicurezza informatica, ha scritto sulla sua pagina Facebook che abbandona il giornalismo per andare a lavorare in un’azienda privata. Fabio e Carola hanno due caratteristiche che li accomunano. Sono due giornalisti di grande competenza e talento e sono due giornalisti che si sono fatti le ossa e sono cresciuti nell’ultimo decennio, dentro il disastro della professione in Italia. Si occupano inoltre, e anche questo immagino abbia un peso, di temi fondamentali e contemporanei legati al digitale: argomenti che sono diffusamente percepiti dai media come esotici e sostanzialmente irrilevanti. Sono stati insomma le persone sbagliate, nel posto sbagliato al momento sbagliato. Storie simili, forse meno fragorose ma sostanzialmente analoghe, riempiono la cronaca sotterranea del giornalismo italiano di questi anni: per i migliori non c’è posto, nessuno che abbia la forza o la capacità di valorizzarne i talenti per il bene di tutti. Resta quello che c’era prima, ad occuparsi dei temi che c’erano prima, con la verve, la voglia di fare, il talento e l’elasticità di vecchi pensionati. Che è poi un ritratto abbastanza preciso del giornalismo in Italia oggi».

Se a questi aggiungiamo La “fuga” all’estero di Francesco Zaffarano, [ex] social media editor de La Stampa, che aveva continuato egregiamente il lavoro impostato dal nostro Pier Luca Santoro e che oggi invece svolge lo stesso lavoro ma nel Regno Unito per The Telegraph, e l’annuncio, sempre di questi giorni, di Marina Petrillo che si unisce alla squadra dell’Assessorato alle Politiche Sociali di Pierfrancesco Majorino, a Milano, per occuparsi di comunicazione, il quadro è completo e la frase di Agatha Christie si concretizza appieno.

I migliori si sfilano da un mondo dove chi ha know-how e voglia di fare vive in perenne frustrazione, o è “alla fame”, e gli altri, la stragrande maggioranza, stanno abbarbicati alla cadrega, per dirla alla Aldo, Giovanni e Giacomo, sperando che il Titanic affondi un minuto dopo che sono andati in pensione. Abbiamo dedicato una parte rilevante degli ultimi dieci anni a giornali e giornalismo per cercare di dare il nostro contributo ad una loro rinascita, ma sinceramente stiamo iniziando a perdere la speranza che vi sia modo di curare il malato, ormai quasi allo stato terminale, che continua ostinatamente a rifiutare le cure. Amen!

(Foto di Andrew Seaman su Unsplash)