Tra i tanti aspetti che concorrono a determinare il grado di libertà di stampa di un Paese, spesso si trascurano gli attacchi che subiscono ogni giorno le giornaliste da parte di maschi ignoranti e misogini. Se è vero che l’autocensura dei giornalisti è un problema, per esempio nel caso in cui essi rinuncino a trattare certi argomenti perché contrari alla linea editoriale o agli interessi commerciali del giornale, è forse ancora più grave quando questo comportamento è generato da offese e minacce dirette alla giornalista per il suo essere donna. Spesso abbiamo parlato di hate speech e cyberbullismo su ZeroNegativo, ma mai in relazione a questo aspetto della pratica giornalistica.

Arrivano ora a occuparsene due importanti organismi internazionali, l’Ocse e l’Unesco, con altrettanti studi (consultabili qui e qui). Il primo dei due è stato realizzato invitando 23 giornaliste di Paesi dell’area Ocse a rispondere a un questionario, che chiedeva loro di rendere conto di questo particolare aspetto della propria esperienza professionale. La conclusione dello studio rileva un generale consenso sul fatto che alcuni tipi di minacce non possono essere ignorate (quelle di morte per esempio, soprattutto se arrivano da gruppi organizzati e non da singoli). In questi casi, si rivela fondamentale un supporto esterno, da parte della famiglia, degli amici, ma anche di colleghi e datori di lavoro. Questi ultimi in particolare possono avere un ruolo fondamentale nel muoversi attivamente per evitare o risolvere il problema, denunciando i fatti alle autorità o mettendo in atto strategie e campagne mirate.

Dalle risposte delle giornaliste, si evince purtroppo che le organizzazioni mediatiche non dimostrano un livello di coinvolgimento adeguato nella lotta a questo fenomeno, con l’inevitabile conseguenza di lasciarle sole di fronte a insulti e minacce. Molto meglio sarebbe che si discutessero all’interno delle redazioni strategie e modelli di comportamento condivisi, in modo che tutto lo staff giornalistico e dirigenziale sia pronto a intervenire a supporto delle vittime di aggressioni verbali. Certo, nel giornalismo non si ha sempre la fortuna di vivere un rapporto quotidiano con i colleghi e condividere con loro uno spazio di lavoro.

Per le lavoratrici freelance il problema è ancora più grave, e bisognerebbe quindi capire come garantire anche a loro un sistema di assistenza. In questo senso, il ruolo del sindacato dovrebbe essere centrale. «Nel 2013 – scrive il sito di Nuova Informazione, una corrente interna al sindacato nazionale dei giornalisti (Fnsi) –, l’Ifj (International Federation of Journalists, ndr) aveva lanciato la campagna “Stop Violence Against Women Journalists” (#IFJVAW), incentrata sulle violenze fisiche connesse all’attività professionale (giornaliste uccise, minacciate, attaccate, molestate). La campagna, riguardava anche la violenza sui luoghi di lavoro (molestie morali e sessuali, bullismo, ineguaglianza salariale), nonché la cosiddetta “violenza silenziosa”, che consiste nel tenere le donne lontane dalle posizioni dirigenti solo sulla base del genere d’appartenenza». Quest’ultimo è un altro grosso problema su cui c’è ancora molto lavoro da fare.

La peggiore conseguenza possibile nei casi di continue minacce e insulti è che, dopo l’autocensura su certi argomenti, la persona arrivi a smettere di esercitare la professione. Come ha commentato la rappresentante Osce per la libertà di stampa Dunja Mijatovi?, «questo tipo di attacchi pone una seria minaccia alla libertà di stampa e alla società intera». Non bisogna poi trascurare le conseguenze psicologiche di questo fenomeno, che possono arrivare a rovinare la serenità complessiva delle vittime. Una delle intervistate ha infatti scritto che, a distanza di un anno dai fatti che l’hanno riguardata, era solo la seconda volta che tornava a pensarci e a condividere la propria storia con qualcuno. La conclusione della testimonianza lascia intendere la difficoltà di affrontare l’accaduto e l’importanza di avere attorno un ambiente che permetta di affrontare le conseguenze di questi atti e superarli: «Voglio aggiungere che mi ci è voluto un po’ per riprendermi da quanto accaduto e cominciare realmente a parlarne apertamente. E mi sento più forte ora che posso condividere la mia esperienza».

Segnaliamo che il 17 settembre si terrà una una conferenza dal titolo “New Challenges to Freedom of Expression: Countering Online Abuse of Female Journalists”, presso il Diparimento per la Libertà di stampa dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, per cominciare un percorso di elaborazione di nuove strategie e strumenti per affrontare il fenomeno.

Fonte foto: flick