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L’8 febbraio si celebrerà la prima Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta delle persone. Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) e l’Ufficio delle Nazioni unite contro la droga e il crimine (Unodc), 21 milioni di persone nel mondo sono in qualche modo vittime di questo tipo di sfruttamento, che può essere di vario genere: sessuale (53 per cento), lavoro forzato (40 per cento), espianto di organi, accattonaggio forzato, servitù domestica, matrimonio forzato, adozione illegale ecc. 2,5 milioni di persone ogni anno finiscono in questo devastante sistema, e al 70 per cento si tratta di donne e bambini.

Dopo la droga e le armi, è il terzo business illegale più redditizio, generando 32 miliardi di dollari all’anno. Grazie all’impegno di tante persone che si occupano del recupero sociale delle vittime di questi abusi, e con la collaborazione del Vaticano, si arriva a celebrare ufficialmente una giornata dedicata a questo tema. La ricorrenza è promossa dalle Unioni internazionali femminili e maschili dei Superiori/e Generali, e vi aderiscono diverse associazioni, tra cui: Slaves No More – associazione contro la violenza sulle donne e il traffico di esseri umani per lo sfruttamento lavorativo e sessuale, Comunità Papa Giovanni XXIII, Caritas Internationalis, Gruppo Abele e molte altre. Papa Francesco ha sempre manifestato la propria preoccupazione per il fenomeno che ha definito come “schiavitù moderna”, anche prima di essere eletto vescovo di Roma. Ultimamente non sono mancati suoi richiami all’azione da parte di tutti (dalle istituzioni ai singoli cittadini): «La schiavitù moderna è un crimine di “lesa umanità”. Le sue vittime sono di ogni condizione, ma il più delle volte si riscontrano tra i più poveri e i più vulnerabili dei nostri fratelli e sorelle. […] Chiamiamo all’azione tutte le persone di fede, i leader, i governi, le imprese, tutti gli uomini e le donne di buona volontà, affinché diano il loro forte appoggio e si aggiungano al movimento contro la schiavitù moderna, in tutte le sue forme». Il problema è ovviamente più forte nei Paesi in cui più alto è il numero di persone in condizione di povertà.

Ma è sbagliato pensare che fenomeni del genere abbiano confini geografici delimitati, perché le persone, come fossero merce, vengono fatte muovere verso i Paesi in cui circola più denaro, in modo da generare business per la criminalità organizzata. Ed ecco, per esempio, che le strade italiane si riempiono di ragazze che vengono da ogni parte del mondo, ciascuna con la propria terribile storia. A conoscerle meglio sono proprio le associazioni che si impegnano a intercettarle e offrire loro una possibilità di uscire dallo sfruttamento e dalla violenza, per cominciare un’altra vita, stavolta dignitosa. «Le ragazze non chiedono aiuto, vivono nella paura e vergogna in silenzio, un silenzio che per noi è assordante», ha raccontato nella sala stampa della sala vaticana suor Valeria Gandini, missionaria comboniana, da diversi anni attiva in un gruppo di strada in Sicilia che cerca di avvicinare le prostitute immigrate. «Ultimamente le ragazze sulla strada sono aumentate e sono sempre più giovani. Spesso si tratta di ragazze arrivate con i barconi. Succede anche che nei centri di accoglienza alcuni gruppi lavorano sulle ragazzine più giovani per avviarle sulla strada. Hanno paura di essere viste. I magnaccia le picchiano se non portano i soldi a casa, hanno paura delle forze dell’ordine e della polizia. Spesso mi sono chiesta e mi chiedo ancora: cosa ci dicono queste donne, bambine, nude, sulle nostre strade, a tutte le ore? Cosa ci dicono?».

Concludiamo con una buona notizia, pubblicata proprio ieri in Italia e riferita al fatto che nei giorni scorsi la polizia indiana ha liberato circa 400 bambini che lavoravano illegalmente in fabbriche di scarpe e monili a Secunderabad (nello stato del Telangana). Tutti tra i 4 e i 12 anni, sopportavano giornate di lavoro che potevano durare fino a 18 ore, esposti a sostanze chimiche, per una paga giornaliera che al massimo era di poco superiore a un euro. Se può servire a riflettere e dare spazio a fatti come questo, ben venga questa Giornata internazionale.