Oggi si celebra la giornata mondiale per i diritti umani. Secondo alcuni c’è poco da festeggiare, perché è il giorno in cui si sancisce il fallimento di molti sistemi politici nell’assicurare il rispetto di tali diritti. Di certo l’Europa ha fatto molti passi avanti in merito al mantenimento della pace e della stabilità dei sistemi democratici, ma sono ancora molte le situazioni di squilibrio da sanare, dentro e fuori dal continente. Finché continueremo a celebrare questa giornata, vorrà dire che ci sarà ancora del lavoro da fare per difendere le minoranze, i deboli, combattere la povertà (e non i poveri) e assicurare uguale trattamento a tutte le persone, indipendentemente dalla loro provenienza, colore della pelle, genere, orientamento sessuale.
Oggi nella sede Onu di New York si tiene la cerimonia di consegna dei premi assegnati a personalità che quest’anno si sono impegnate in prima persona nel perseguimento del rispetto dei diritti umani per diverse categorie. Si tratta di sei persone, delle quali vale la pena tracciare un piccolo profilo per fare in modo che non restino solo nomi destinati a perdersi dentro al diluvio informativo. La più celebre è di certo Malala Yousafzai, ragazza pakistana di cui si è fatto il nome nei giorni dell’assegnazione di un altro importante premio, il Nobel per la pace. Malala è sfuggita al tentativo di omicidio da parte dei taliban nel suo Paese perché ha deciso di violare uno dei loro divieti: andare a scuola. In un suo discorso di fronte all’assemblea dell’Onu ha detto: «Cari amici, nella notte del 9 ottobre 2012 i Taliban mi hanno sparato sul lato sinistro della fronte. Hanno sparato anche ai miei amici. Pensavano che le loro pallottole ci avrebbero messo a tacere. Ma hanno fallito. E da quel silenzio si sono levate migliaia di voci. I terroristi pensavano che sparando avrebbero cambiato i nostri obiettivi e fermato le nostre ambizioni, ma niente nella mia vita è cambiato tranne questo: la debolezza, la paura e la disperazione sono morte. La forza, il potere e il coraggio sono nati. Io sono la stessa Malala. Le mie ambizioni sono le stesse. Così pure le mie speranze sono le stesse. Cari fratelli e sorelle io non sono contro nessuno. Nemmeno contro i terroristi». Parole di impegno e conciliazione che ricordano quelle di un altro grande personaggio (e assegnatario di entrambi i premi fin qui nominati) che da poco se n’è andato: Nelson Mandela. Vi consigliamo di leggerlo tutto, il discorso di Malala, perché c’è davvero tanto da imparare.
Gli altri cinque premiati oggi li potete scoprire leggendo i brevi profili riportati da La Stampa. Si tratta di Biram Dah Abeid (Mauritania), impegnato contro la schiavitù, Hiljmnijeta Apuk (Kosovo), attivista e sostenitrice dei diritti delle persone affette da nanismo, Liisa Kauppinen (Finlandia), presidente emerito della Federazione mondiale dei sordi, Khadija Ryadi (Marocco), attivista per i diritti umani e la piena parità tra uomini e donne dal 1983, e infine la Corte suprema di giustizia messicana.
In chiusura, facciamo notare il poco invidiabile primato dello stadio della Pro Patria, incluso per qualche secondo nello spot Unhcr “20 years of human rights”, per ricordare i cori razzisti lanciati da alcuni “tifosi” contro il giocatore del Milan Kevin-Prince Boateng. Peraltro, il calciatore (tedesco naturalizzato ghanese) è nato e cresciuto a Berlino e parla sei lingue, di certo molte di più di chi urlava dagli spalti.