Oggi è la Giornata mondiale delle famiglie. Al plurale, come riporta il sito dell’Onu. Come ogni anno, siamo certi che qualche giornale scriverà “famiglia” e coglierà l’occasione per sottolineare la sacralità dell’unione tra uomo e donna, ma non è questo lo spirito con cui la giornata è stata proclamata. Secondo la nota pubblicata dalle Nazioni unite per accompagnare l’edizione 2015 della ricorrenza, quest’anno l’attenzione sarà focalizzata soprattutto sulle leggi che in alcuni Stati favoriscono episodi di violenza domestica o di mancato rispetto dei diritti della donna e dei minori. In generale, la parità di genere è ancora un risultato lontano per 26 Stati su 143.
Dalle nostre parti, la questione non è meno complessa e spesso si focalizza su un tema dall’alto valore simbolico, che porta con sé anche una discriminazione molto reale. Parlare infatti di matrimoni tra persone dello stesso sesso è ancora un problema per i nostri politici, nonostante probabilmente una parte importante della società civile sia pronta ad allinearsi a ciò che già avviene in un numero crescente di Stati in tutto il mondo. In Parlamento è in fase di discussione nelle commissioni un disegno di legge sulle unioni civili che sta incontrando l’ostruzionismo di alcuni partiti e rappresentanti politici. Al di là delle battaglie ideologiche che nascondono un pensiero molto poco strutturato che si ferma al conformismo della “famiglia tradizionale”, come se l’omosessualità fosse un fatto estraneo alla nostra società e quindi da tenere ai margini o al limite tollerare, le questioni di fondo che richiedono un intervento legislativo per sanare la situazione sono due.
Un articolo di Avvenire, testata cattolica decisamente contraria all’introduzione di una legge sulle unioni civili valida per tutti, riassume brevemente i diritti già garantiti ai conviventi, pur in assenza di matrimonio, e in fondo alla lista arriva a evidenziare i due “divieti” che restano in vigore per i conviventi rispetto a marito e moglie: «La reversibilità della pensione e la possibilità di adottare. Insostenibile sul piano economico la prima. Sul piano etico ed educativo la seconda». Non avendo opinioni altrettanto inamovibili quanto quelle dell’autore dell’articolo, ci limitiamo a chiederci in nome di cosa dovrebbero continuare a sussistere tali discriminazioni.
Il fatto che garantire la reversibilità della pensione sia un impegno economico gravoso per lo Stato giustifica il fatto di negare questo diritto? Il fatto che una coppia non possa sposarsi (nel caso di persone dello stesso sesso), perché dovrebbe allontanarla dalla possibilità di avere le stesse tutele di chi invece può sposarsi?
Sul secondo punto, quello delle adozioni: chi decide cosa è eticamente accettabile e cosa no? In base a quali principi? Numerosi studi hanno ormai acclarato che i figli cresciuti all’interno di una coppia omosessuale non presentano alcun tipo di disturbo psichico o sociale, quindi non vediamo perché si debba considerare inaccettabile tale idea.
Peraltro, in un’ottica laica e di uno Stato più leggero e meno interventista nella vita privata dei cittadini, ci sarebbe una soluzione più semplice e trasparente: eliminare del tutto l’idea stessa di matrimonio dal codice civile, e considerare tutte le unioni come civili. Che ogni coppia scelga (se vuole farlo) il rito (religioso, laico o di qualunque tipo) con cui vuole celebrare l’impegno simbolico di reciproco rispetto e fedeltà, chiamandolo matrimonio o come gli pare. L’importante è che poi costoro vadano in Comune a firmare uno stesso modulo che sancisce la loro unione di fronte allo Stato e i diritti acquisiti in questo modo. E che siano gli stessi, per tutti.