Dopo le considerazioni piuttosto amare che hanno dato forma a un articolo pubblicato qualche giorno fa su ZeroNegativo a proposito dei giovani e del loro futuro in Italia, è il momento di proporre qualche spunto più ottimista. Per farlo ci appoggiamo a due articoli pubblicati su diverse testate da due ragazzi che non hanno ancora compiuto 25 anni. Il primo è Giulio Di Lorenzo, che scrive sullo Huffington Post e già dal titolo (“Perché noi ventenni cambieremo l’Italia”) si dimostra piuttosto determinato nel dipingere la propria generazione come quella che sarà in grado di dare la spinta propulsiva al Paese che la precedente non è riuscita a dare. Dalle sue parole traspare un’ammirazione per il pragmatismo statunitense nel dare opportunità a chi si dimostra in grado di sfruttarle al meglio, contrapposto alla laboriosità dei meccanismi burocratici italiani, che spesso distolgono anche i più motivati dall’avventurarsi in iniziative potenzialmente di successo. «Premettiamo: negli States non devi far firmare le cambiali ai tuoi genitori per ricevere un prestito d’onore – scrive –, né per ricevere un prestito per avviare la tua bramata start-up. L’importante è rendere, rendere e ancora rendere. A nessuno interessa che tu abbia vent’anni e un fare – magari – spocchioso, l’importante è che tu possa realizzare ciò a cui ambisci. È vero, sto estremizzando e strizzando soltanto la parte buona del succo americano, ma la questione è che lì la fiducia nella generazione under 25 è alta, direi che paradossalmente puntano più su di loro che sugli over 35».
Nelle sue conclusioni, Di Lorenzo non nasconde la determinazione a non aspettare che le opportunità siano concesse dall’alto: «Le capacità non ci mancano, siamo pieni zeppi di skills che alcuni difficilmente raggiungerebbero pur facendo decine di corsi di preparazione. Abbiamo il coraggio e la capacità di poter dire “ho sbagliato, ricomincio”, una frase che molti dimenticano, troppo spesso oserei dire. La chance non la chiediamo, ce la verremo a prendere. E vi stupirete dei risultati, ne sono certo».
L’altro articolo da cui prendiamo spunto è di un altro giovane sotto i 25 anni, Leonardo Goi, che su Minima&moralia si sofferma sul concetto di meritocrazia, che sembrava essere improvvisamente “calato” sulla scena politica con la nomina al governo di Mario Monti, per poi deludere le aspettative dopo appena pochi mesi. Per rendere l’idea, Goi si appoggia al mito: «L’immagine di Mario Monti sceso tra i banchi di palazzo Chigi e Madama mi sembrava la trasposizione in chiave moderna della gara con l’arco tra Ulisse e i Proci. Mi aspettavo che cavasse le armi dalla ventiquattrore, che si chiudessero le porte dei Palazzi e iniziasse la carneficina». Poi la presa di coscienza che la realtà si è dimostrata ben diversa dalle aspettative (le sue, come di molti altri): «Il fallimento del governo Monti e dei suoi ministri non fu un fallimento qualunque. Fu la sconfitta dei professori, coloro che avrebbero dovuto fungere da virus benigni in un sistema in putrefazione, dare il via a un riscatto basato sul merito. E con i quali, proprio su queste basi, la mia generazione poteva condividere molto di più di quanto non avesse fatto con i governi precedenti».
La conclusione qui è meno ottimista, ma comunque propositiva nel dare indicazioni alla classe politica attuale: ripartire dalla scuola. «Meritocrazia è un concetto normativo travolgente – scrive Goi –: è una cosa giusta. Ma è anche un principio che esclude, o meglio, che mira a distinguere chi è competente da chi non lo è. Ripartire dalla scuola, da un dibattito che miri a capire quali siano le abilità richieste da un mercato e una società in perenne evoluzione, da uno sforzo che si preoccupi di porre tutti nella posizione di poter essere davvero responsabili dei propri successi, è il primo passo per un Paese più giusto. Ed è il miglior antidoto per arginare l’esodo generazionale di chi, finché ne avrà la possibilità, continuerà a cercare un futuro altrove».