Dopo il rapporto Fao che a settembre ci informava delle conseguenze economiche e ambientali dell’impressionante volume di cibo sprecato ogni anno (1,3 miliardi di tonnellate, con una perdita economica di 750 miliardi di dollari), ieri è stato pubblicato un altro documento che ci restituisce un quadro delle abitudini degli italiani nella gestione del frigorifero. Il report Waste Watchers, elaborato da Last minute market e Swg, illustra come ogni anno in Italia finiscano nella spazzatura tra i 7,7 e i 9 miliardi di euro (circa mezzo punto di pil), con uno spreco settimanale medio per famiglia di 7 euro. Sfogliando le pagine del rapporto si possono trovare indicazioni su quali sono gli alimenti che più facilmente si sprecano e il perché, anche in rapporto al reddito, alla collocazione geografica e agli stili di vita (importante specificare che si tratta di un sondaggio e non di una misurazione diretta, quindi i risultati sono influenzati dall’autopercezione dei soggetti intervistati).

Ne dà una sintesi il sito Quotidianosanità: «Il 57 per cento dei cittadini dichiara di gettare “quasi mai” gli avanzi e il cibo non più buono, il 27 per cento meno di una volta a settimana, il 55 per cento lo riutilizza. Il 90 per cento degli italiani considera molto o abbastanza grave lo spreco alimentare, il 78 per cento si dice preoccupato da questo problema. Per quanto riguarda le cause dello spreco, primeggia la motivazione per cui “il cibo aveva la muffa” con il 38,94 per cento, poi “era scaduto” (32,31 per cento), quindi “era andato a male fuori dal frigo nel caso di frutta o verdura” (26,69 per cento), o ancora perché “l’odore o il sapore non sembravano buoni” (25,58 per cento). Su un gradino più basso, cause come “aver cucinato troppo cibo” (13,29 per cento), “aver calcolato male gli acquisti” (13,15 per cento), infine “aver acquistato cose che non piacevano” (6,61 per cento).

Tra gli alimenti sprecati, primeggiano la frutta (51,2 per cento), poi la verdura (41,2 per cento), a seguire i formaggi (30,3 per cento) e pane fresco (27,8 per cento). Tra i cibi cotti in testa la pasta (9,1 per cento), quindi i cibi pronti (7,9 per cento) e i precotti (7,7 per cento). A livello territoriale, invece, le incidenze per regione riflettono differenze significative: in Campania soltanto il 47 per cento non getta via cibo quasi mai, in Lombardia il 62 per cento, in Sardegna il 66 per cento e in Liguria il 68 per cento».

Le abitudini di consumo (e di spreco) sono legate direttamente all’informazione in merito all’effettivo deperimento del cibo. Come spiega Andrea Segré, presidente di Last minute market e direttore del dipartimento Scienze e tecnologie agroalimentari all’Università di Bologna, «siamo in tanti a non conoscere le regole di una buona gestione della spesa. Ad esempio, la data di scadenza di un cibo non significa che dopo quel giorno gli alimenti vanno gettati via ma piuttosto che “conservano la piena qualità fino a quella data, ma che rimangono buoni da mangiare anche dopo” -spiega Segrè-. “Di fatto è un’indicazione commerciale per dire quando vanno tolti dagli scaffali” dei supermercati. La maggior parte degli sprechi è colpa di chi fa la spesa una volta alla settimana comprando frutta e verdura per i sette giorni a venire e vedendola puntualmente ammuffire alla fine del periodo (vizio che conosce il 15 per cento degli italiani). Sono anche le maxi confezioni ad ingannare con la loro, a volte falsa, convenienza. In ultimo ci sono gli “sperimentatori delusi”: quelli che hanno il pallino per i sapori nuovi e quando, frequentemente, qualcosa non gli piace, lo tirano dritto nel cestino (il 10 per cento)».

Per chi oggi si trova Milano, potrebbe essere interessante partecipare all’incontro “Ridurre lo spreco alimentare: una ricetta per salvare il pianeta” (ore 9,30 negli spazi di X-perience Lab, in Via Bocconi 8), organizzato dal Wwf nell’ambito del programma One planet food, che si propone di dialogare con i diversi attori della catena agroalimentare al fine di diffondere pratiche che permettano di ridurre l’impatto sull’ambiente delle attività di produzione del cibo. Una questione enorme, vista anche la progressiva globalizzazione della catena, ma sulla quale possiamo fare molto anche curando le nostre abitudini quotidiane.