Sebbene consapevoli di come ciò che avviene nel resto del pianeta influisca sulle dinamiche interne, l’interesse degli italiani verso le questioni nazionali supera di gran lunga quello verso le guerre e gli eventi politici in corso nel resto del mondo. L’articolo di Redattore Sociale.
“Inabissato, come il destino di molte vite in fuga dai terreni di guerra, naufragate nel Mediterraneo. Inabissato, come sommerso, eppure capace di riaffiorare se sollecitato”: così si presenta il pensiero che gli italiani nutrono sulle guerre ancora attive nel mondo. Lo evidenzia il rapporto “Falsi equilibri”, realizzato da Caritas Italiana in collaborazione con Avvenire, Famiglia Cristiana e Miur, e presentato oggi a Roma.
Sebbene si dichiarino consapevoli che l’esistenza di conflitti nel pianeta influisca sulle dinamiche sociali ed economiche del Paese, gli italiani custodiscono una consapevolezza intermittente delle guerre ancora in corso, sopraffatta dalle contingenze, soperchiata – nelle dimensioni informative – dalle questioni nazionali.
Fra gli interessi informativi dell’opinione pubblica nazionale, pesa poco il “resto del mondo”: meno di un quinto se ne informa. Ma se indotti a riflettere sull’aberrazione dei conflitti, i cittadini dichiarano di non credere all’ineluttabilità delle guerre: per il 75% si tratta di eventi evitabili e superabili grazie all’evoluzione culturale dell’umanità. Ma a patto che il tema riemerga nell’agenda delle istituzioni e dei media, e torni centrale per la comunità internazionale.
Invece, secondo la ricerca (curata dall’Istituto Demopolis), l’attenzione sulle “guerre dimenticate” nel mondo resta appesa agli appelli del Papa e della Chiesa (45%) e a voci terze, non istituzionali: per il 43% degli intervistati, sono spesso il volontariato e le associazioni non governative a tenere aperto l’interesse. Implacabile il giudizio dell’opinione pubblica sugli interventi troppo fiochi delle istituzioni nazionali e internazionali (Unione Europea e Onu).
Sebbene sia critica la valutazione degli italiani sull’efficacia della risposta istituzionale nella gestione e prevenzione dei conflitti, si registra una forte domanda di protagonismo pacifico delle istituzioni. Non a caso, il 62% – innanzi allo scoppio di un conflitto – richiederebbe alla comunità internazionale di agire con la mediazione politica e senza l’uso della forza. E nelle indicazioni degli intervistati su possibili deterrenti all’esplosione di nuovi conflitti, si conferma la richiesta di un ingaggio globale e condiviso: innanzi tutto, nel contrasto alle disuguaglianze sociali ed economiche, principale antidoto alla guerra, individuato dall’opinione pubblica.
“Del resto, complice la pandemia, piena è la consapevolezza che il mondo sia imbrigliato dalle disuguaglianze e che l’Italia non sia estranea al fenomeno”, si legge nella ricerca. Il 57% dei cittadini dichiara che siano frequenti, fra le persone di propria conoscenza, situazioni di forti disuguaglianze sociali ed economiche. Si tratta in prevalenza di profondi divari nella disponibilità di risorse economiche (45%), ma anche di accesso all’istruzione e alla cultura (31%). Tuttavia – come per la guerra – neanche la società disuguale è vista come una condizione fatale e ineliminabile.
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(Foto di Robert Couse-Baker su flickr)
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