I risultati delle ricerche pubblicate da donne sulle più importanti riviste scientifiche di ambito medico hanno molte meno probabilità di essere citati rispetto ad articoli simili scritti da uomini. Lo ha rivelato uno studio condotto da due autrici e pubblicato su JAMA Network Open, poi ripreso su Nature.
La ricerca ha esaminato 5.554 articoli pubblicati tra il 2015 e il 2018 su Annals of Internal Medicine, BMJ, JAMA, JAMA Internal Medicine e The New England Journal of Medicine. Associando i nomi al genere maschile o femminile sfruttando un database online, le ricercatrici hanno identificato il genere dell’autore principale e senior di ogni articolo (il database non teneva conto degli autori non binari). Incrociando i dati, hanno così scoperto che solo il 36 per cento degli autori principali e il 26 per cento degli autori senior nel campione erano donne.
Paula Chatterjee e Rachel Werner, autrici dello studio, hanno poi analizzato il numero di citazioni che ogni articolo aveva ricevuto, scoprendo che i paper con donne come autrici principali avevano un terzo di citazioni mediane in meno rispetto a quelli firmati da uomini, e che quelli con donne come autori senior avevano circa un quarto di citazioni in meno rispetto a quelli con uomini come autori senior. I documenti i cui autori principali e senior erano entrambi donne, inoltre, hanno ricevuto solo la metà delle citazioni rispetto a quelli in cui entrambi erano uomini.
Reazione a catena
Questi risultati hanno implicazioni significative per l’evoluzione della carriera delle ricercatrici. Le citazioni sono un elemento chiave per valutare l’importanza di uno studio, e – anche se il sistema delle pubblicazioni scientifiche è tutt’altro che perfetto – le università e i finanziatori spesso le prendono in considerazione per decidere se dare una cattedra o sovvenzioni a un ricercatore, e se assumerlo o promuoverlo.
Chatterjee dubita che il pregiudizio sia intenzionale. Sospetta invece che la causa più probabile della disparità sia la visibilità relativa di uomini e donne in campo medico. I ricercatori maschi hanno più probabilità delle loro colleghe di essere invitati a parlare alle conferenze scientifiche, o di vedere il proprio lavoro promosso sui social media. Di conseguenza, per gli autori potrebbe essere più facile ricordare il lavoro dei colleghi maschi quando cercano fonti da citare.
Alcuni comportamenti specifici dell’universo maschile della ricerca potrebbero poi avere un ruolo nel fenomeno osservato. I ricercatori maschi sono più propensi a citare i propri articoli rispetto alle donne. Un documento del 2019 ha scoperto che gli autori uomini tendono con più facilità a descrivere i propri risultati con parole come “nuovo” e “promettente”, il che potrebbe far risaltare questi documenti al cospetto di altri ricercatori in cerca di riferimenti bibliografici.
Questa disparità nelle citazioni perpetua più in generale altri fenomeni legati alle disuguaglianze di genere, creando un circolo vizioso: i ricercatori il cui lavoro viene promosso tendono a diventare leader nel loro settore, dunque le loro pubblicazioni continuano a essere citate più spesso.
La buona notizia, secondo Chatterjee, è che il divario di genere nell’editoria medica si sta riducendo. Tra il 1994 e il 2014, la proporzione di autrici principali nelle più prestigiose riviste mediche è aumentata dal 27 al 37 per cento, e il numero di donne invitate come relatrici alle conferenze sta cominciando ad aumentare.
Chatterjee spera che lo studio suo e di Werner serva da monito verso i ricercatori affinché si interroghino su come vengono a conoscenza di un articolo, e li aiuti a essere più consapevoli del genere delle persone di cui citano il lavoro.
(Foto di ThisisEngineering RAEng su Unsplash)
Col sangue si fanno un sacco di cose
Le trasfusioni di sangue intero sono solo una piccola parte di ciò che si può fare con i globuli rossi, le piastrine, il plasma e gli altri emocomponenti. Ma tutto dipende dalla loro disponibilità, e c’è un solo modo per garantirla.